Nel diritto dei contratti ha fatto ingresso un nuovo tipo di contratto, destinato ad avere grande utilizzo negli anni a venire, soprattutto nel settore energetico e bancario: si tratta dello smart contract.
Per comprendere le potenzialità applicative che offre questo strumento, ma anche, allo stesso tempo, le criticità che esso pone, occorre anzitutto capirne il funzionamento.
La definizione di smart contract viene offerta dal legislatore nella L. 11 febbraio 2019 n. 12 (recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 14 febbraio 2018 n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione delle imprese e per la pubblica amministrazione”), ove, all’art. 8-ter, disciplina lo smart contract come un “programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”.
Prima di soffermarsi sul funzionamento e sulla disciplina dello smart contract, occorre anzitutto chiedersi in quale categoria di contratti possa essere inquadrato. La risposta a tale quesito appare agevole: lo smart contract deve essere inquadrato nella categoria dei contratti digitali. Ciò posto, occorre capire quali sono le differenze rispetto agli altri contratti digitali, vale a dire i contratti telematici e i contratti cibernetici. Nei contratti telematici, lo strumento telematico rappresenta solo il veicolo di trasmissione della volontà dei contraenti. Nei contratti cibernetici, invece, lo strumento telematico non è solo veicolo della volontà, ma è anche strumento che determina la volontà dei contraenti.
Negli smart contracts, invece, la volontà si manifesta attraverso un algoritmo che si autoesegue. Si tratta, pertanto, di software che, una volta programmati, sono autoeseguibili su piattaforme blockchain (a tal proposito, si ricordi come la piattaforma blockchain sia un registro digitale in cui i dati sono registrati a blocchi. Si tratta di un sistema caratterizzato dalla immodificabilità e immutabilità).
Così inquadrato lo smart contract, occorre soffermarsi sul procedimento di formazione, che può essere scomposto in tre fasi.
Le parti che vogliono concludere uno smart contract devono anzitutto “trasformare” la loro volontà in un linguaggio informatico. Tale fase iniziale di programmazione del linguaggio informatico, detta coding, diventa fondamentale: una volta, infatti, che il contratto è stato concluso, esso è immodificabile (come meglio verrà spiegato infra) e nessun errore di formazione della volontà potrebbe rilevare, nemmeno se questo errore ha riguardato il processo di traduzione del linguaggio.
Tradotta, dunque, la volontà contrattuale in linguaggio informatico, si passa alla fase successiva della pubblicazione. In questa fase, le parti procedono a convalidare il contratto mediante un sistema crittografico a doppia chiave asimmetrica. Una volta convalidato, lo smart contract viene pubblicato nel sistema blockchain e da quel momento diventa immodificabile.
L’ultima fase, infine, concerne l’esecuzione del contratto ed è caratterizzata da una esecuzione automatica del contratto. Eseguendosi in maniera automatica, i rischi di inadempimento del contratto vengono sostanzialmente azzerati. Proprio per questo, però, si apprezza ancora di più la fase della programmazione e traduzione in linguaggio informatico delle volontà contrattuali: una volta che lo smart contract è stato concluso e pubblicato sulla piattaforma blockchain (divenuto cioè immodificabile), esso si autoesegue.
Due, dunque, appaiono essere le caratteristiche fondamentali dello smart contract: l’immodificabilità e l’autoeseguibilità.
Così descritto il procedimento da seguire per arrivare alla conclusione di uno smart contract, occorre ora soffermarsi sulle potenzialità di questo strumento.
Innanzitutto, come già anticipato, diretta conseguenza dell’autoeseguibilità dello smart contract è la circostanza che questo non possa rimanere inadempiuto. Una prima grande potenzialità dello smart contract, dunque, riposa proprio nel neutralizzare il rischio dell’inadempimento. Verificatesi le condizioni descritte nello smart contract, infatti, esso si esegue in automatico.
Ma non solo. Una volta che lo smart contract viene pubblicato sul sistema blockchain, tutte le vicende contrattuali diventano conoscibili ai partecipanti della rete. Tale caratteristica appare estremamente importante in quanto è in grado di evitare che si verifichino conflitti tra più aventi causa del medesimo bene.
In definitiva, si può dunque dire che gli smart contracts garantiscano massima sicurezza nella circolazione di beni e diritti.
Così enucleate le principali potenzialità dello strumento contrattuale di nuovo conio, occorre però anche soffermarsi sulle sue criticità. Le criticità, come si vedrà, sono principalmente legate all’immodificabilità del contratto. Se, dunque, da un lato l’immodificabilità può soddisfare esigenze di certezza nella circolazione dei beni, dall’altro può porre dei problemi in termini di gestione delle sopravvenienze contrattuali.
Una volta, infatti, che il contratto viene concluso e pubblicato, esso è immodificabile, e a nulla possono rilevare eventuali circostanze che erano imprevedibili alle parti nel momento di conclusione dello stesso. In altri termini, se durante l’esecuzione del contratto intervengono fattori del tutto eccezionali e imprevedibili che rendono eccessivamente gravoso il contratto, le parti non possono avvalersi del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Ciò, però, non toglie che le parti possano gestire le sopravvenienze prevedibili nella fase fisiologica della conclusione del contratto. In questa fase, le parti possono gestire eventi futuri e incontrollabili attraverso l’istituto della condizione.
Lo smart contract, infatti, funzione secondo il ragionamento if/when: al verificarsi di un determinato evento, ne succede un altro. Le parti, dunque, potranno gestire le eventuali sopravvenienze attraverso questo meccanismo: al verificarsi di un dato evento futuro e incerto, il contratto produrrà i suoi effetti (condizione sospensiva), oppure cesserà di produrre i suoi effetti (condizione risolutiva).
Lo smart contract, dunque, è un contratto necessariamente condizionato, in quanto la condizione è l’unico strumento che le parti hanno a disposizione per gestire le sopravvenienze contrattuali (ovviamente si sta sempre parlando di sopravvenienze prevedibili al momento della conclusione del contratto). Se è così, allora per gli smart contracts la condizione abbandona il ruolo di elemento accidentale (come normalmente accade nei contratti) per assumere quello di elemento essenziale.
In definitiva, la principale criticità dello smart contract è l’impossibilità di gestire le sopravvenienze contrattuali che non possano essere controllate dalle parti in sede di conclusione del contratto con lo strumento della condizione.
Altra problematica connessa all’immodificabilità del contratto, poi, è legata al tema delle invalidità contrattuali. L’ordinamento, infatti, non tollera l’esistenza di un contratto invalido. Ebbene, se tale contratto è uno smart contract, tale esigenza si scontra con il tipo contrattuale, che, essendo pubblicato su piattaforma blockchain, è immodificabile. Da qui, dunque, l’auspicabilità che vengano individuati dei rimedi per far fronte all’invalidità degli smart contracts e, conseguentemente, decretarne l’inefficacia.
L’impossibilità di modificare uno smart contract porta anche ad interrogarsi in ordine a come questo contratto possa essere integrato dalla legge, a norma dell’art. 1374 c.c. (la norma, infatti, prevede che il contratto obblighi le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi). Le caratteristiche del tipo contrattuale, infatti, rendono difficoltosa una integrazione della stesso ad opera della legge.
Infine, un’ultima criticità appare legata all’aspetto dell’autoeseguibilità dello smart contract.
La circostanza per cui lo smart contract si autoesegue impone un ripensamento anche in ordine al principio per cui, ai sensi dell’art. 1375 c.c., nell’esecuzione del contratto le parti devono comportarsi secondo buona fede. In questi casi, essendo l’esecuzione del contratto assolutamente automatica, nessuna rilevanza può essere accordata al comportamento delle parti. Ciò implica, dunque, un ripensamento del concetto di buona fede nell’esecuzione contrattuale.
In definitiva, gli smart contracts rappresentano l’ultima frontiera del diritto dei contratti. Sebbene tali contratti siano idonei a soddisfare esigenze quali la certezza della circolazione della ricchezza, pongono non pochi problemi circa la necessità di conciliare le sopravvenienze contrattuali e il tema delle invalidità contrattuali con le caratteristiche di non modificabilità degli stessi contratti.
Nuove sfide, dunque, si pongono all’interprete, soprattutto in punto di disciplina e di modalità di concepimento dell’autonomia privata: sfide che andranno necessariamente vinte, considerato l’impatto che gli smart contracts avranno nell’economia contrattuale, soprattutto nel settore energetico e bancario.