Settant’anni fa l’Italia, insieme a Francia, Lussemburgo, Germania Occidentale, Belgio e Paesi Bassi, partecipò alla costituzione della CECA, ovverosia la Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio. Iniziava praticamente una prima, timida, fase legata a quella che poi sarebbe diventato il principio della globalizzazione. Il patto era però soltanto economico con una collaborazione parziale e settoriale. Sei anni dopo l’accordo divenne politico con la costituzione della CEE e l’adesione graduale di altri Stati.
L’accordo risultava però ancora limitato, essendo tagliati fuori gran parte degli Stati che gravitavano in Europa, soprattutto quelli vicini alla superpotenza sovietica. Finalmente arrivò quel fatidico giovedì, del nove novembre 1989, quando i quattro metri di altezza del muro e i 151 chilometri di filo spinato, che spaccavano in due la città di Berlino, si accartocciarono sotto le randellate del popolo tedesco.
La caduta del muro e il contemporaneo crollo dell’URSS, aprirono quindi uno scenario diverso di collaborazione fra i popoli, scaturita poi nel trattato di Meastricht del 1992 che creò l ‘attuale Unione Europea. Il fenomeno aggregativo e complementare interessò altre parti del mondo, iniziando a caratterizzare un periodo di facilitazione e velocizzazione di scambi economici, di tendenze, di idee diverse, di problematiche. Stava maturando una politica di liberalizzazione dei confini e delle dogane, nonché una conseguente dilatazione delle interdipendenze reciproche.
Praticamente germogliava quel seme della integrazione globale, piantato nel terreno evolutivo dell’avanzamento dei tempi e innaffiato dalla evoluzione tecnologica. Rimanevano però, ed ancora purtroppo restano, divari profondi fra i cosiddetti Paesi sviluppati e industrializzati, e quelli definiti del Terzo Mondo.
I popoli più poveri vivono tra loro momenti di solidarietà legata alla sopravvivenza; i ricchi verso i poveri, attuano azioni di sfruttamento; i ricchi fra loro creano situazioni di opportuna complicità.
Solo quando lo sfruttamento e l’opportunismo lasceranno il passo alla sussidiarietà, allora probabilmente la globalizzazione assumerà una diversa valenza. Oggi come oggi, occorre prenderne atto, esistono ancora aspetti condizionanti: economici, sociali, scientifici, culturali e così via.
Si va cioè verso il raggiungimento di una veloce omologazione dei prodotti, dei servizi e dei consumi. Alla velocità della luce!
Soprattutto quando la globalizzazione è produttiva, ovvero de localizzata verso i Paesi più poveri, quelli cioè che hanno tante risorse ma non sanno come fare per sfruttarle, diventando inevitabilmente preda di una sfrenata economia capitalistica, che necessitano di cure mediche, di acqua potabile, di nutrizione, di senso d’orientamento, senza il quale si perde anche quello della comunità.
Dove non si capitalizza solo l’azione, ma anche il tempo per attuarla. Per questo infatti da una economia globale si è passati alla New Economy, dove l’utilizzo della telematica e la rivoluzione informatica ha annullato le distanze facendo accadere tutto in tempo reale.
Detto fra noi, negli anni sessanta si sognava di girare il mondo con le mani in tasca ed il cuore pieno di fantasia.
Oggi, grazie proprio alla globalizzazione, il cuore è rimasto, ma la fantasia un po’ meno.
Basta infatti mettere le mani in tasca, avviare il cellulare, ed ecco che sarà il mondo a venire da noi.