I coralli rappresentano da secoli una delle manifestazioni più affascinanti della natura.
Basti pensare che il corallo rosso era già conosciuto e apprezzato da Greci e Romani, in quanto presente in abbondanza nel mar Mediterraneo, ritenuti rari e preziosi non solo per finalità ornamentali, ma anche per la produzione di medicine per la cura di patologie renali.
Il corallo rosso era, in realtà, tempo fa, abbondante anche in Italia, ma oggi è divenuto sempre più raro.
Emergono, al contrario, importanti novità rispetto ad altri tipi di coralli.
È recentissima, infatti, la conferma che i fondali dell’Isola di Marettimo, nell’Arcipelago delle Egadi, sono ricchi di corallo nero. Esso si trova a profondità elevate, tra i 50 e i 300 metri, ed hanno una struttura elastica che gli consente di resistere all’irruenza degli agenti marini, fungendo anche da rifugio per moltissimi altri organismi.
Non solo.
A due chilometri dalle coste di Monopoli, in provincia di Bari, è stata scoperta la prima barriera corallina del Mar Mediterraneo.
La scoperta, dopo ricerche e studi durati tre anni, condotti da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, in collaborazione con l’Università del Salento e l’Università di Roma Tor Vergata, è stata pubblicata nel 2019 sulla rivista scientifica Scientific Reports.
La barriera corallina ritrovata in Puglia, lunga 2,5 chilometri, ha caratteristiche uniche e colori più tenui rispetto alle barriere delle Maldive o dell’Australia poiché in questi luoghi i processi di simbiosi delle madrepore sono facilitati dalla luce, mentre in quella italiana domina la penombra. Ciò non impedisce a quegli animaletti marini che costituiscono i corallini bianchi di formare comunque imponenti strutture di carbonato di calcio, pur senza alghe.
Non dipende da questo il diverso fenomeno dello sbiancamento dei coralli (c.d. bleaching) che rappresenta, invece, un segnale inequivocabile del processo di decadimento a cui tali creature sono sottoposte a causa del cambiamento climatico.
Infatti, i colori intensi delle barriere coralline che siamo abituati a vedere in alcuni fondali marini sono prodotti da un’alga unicellulare che vive in simbiosi con i coralli, alga che costituisce una fonte di energia fondamentale per gli stessi.
Purtroppo, l’innalzamento delle temperature marine provocato dai mutamenti climatici e dai livelli di inquinamento spinge i coralli a reagire espellendo questa alga simbiotica, assumendo, così, un colore bianco spettrale.
Tra l’altro, le stesse alterazioni ambientali provocano la diffusione incontrollata di predatori dei coralli.
Nel 2022 in Australia è stata diffusa una richiesta d’aiuto da parte dell’agenzia governativa che si occupa della Grande Barriera Corallina, preoccupata dal sesto episodio – nel giro di pochi anni – di sbiancamento di massa dei coralli.
Monitorando le barriere individuali pare, infatti, che il 93% delle stesse abbia già subito danni.
Il problema non è limitato soltanto ai coralli, estendendosi evidentemente il pericolo di sopravvivenza a più di millecinquecento specie di pesci, a sei specie di tartarughe marine e a trenta specie di delfini e di balene, tutti privati del loro habitat naturale.
L’equilibrio della barriera corallina, rimasto intatto per migliaia di anni, è, quindi, seriamente minacciato dai cambiamenti climatici e – inutile negarlo – anche dall’attività dell’uomo che troppo spesso non prende in considerazione le conseguenze delle proprie azioni.
E i coralli reagiscono a tali effetti proprio come noi e come tutti gli altri esseri viventi.
Non è azzardato, alla luce di tutto ciò, pensare che le barriere coralline siano destinate all’estinzione, atteso che, quando gli eventi di sbiancamento dei coralli diventano regolari, gli stessi non hanno neppure più il tempo di rigenerarsi o di riprodursi.