RUBRICA – Le pillole dell’avvocato – INTELLIGENZA ARTIFICIALE TRA REGOLAMENTAZIONE EUROPEA E PROFILI DI RILEVANZA PENALE

L’8 dicembre 2023 è una data storica nel mondo della tecnologia e della governance, poiché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo politico fondamentale: l’AI Act, il primo regolamento al mondo specificamente dedicato all’Intelligenza Artificiale (IA). Questo accordo ambizioso mira a plasmare lo sviluppo futuro dell’IA in Europa, assicurando al contempo la sicurezza, il rispetto dei diritti fondamentali, la democrazia, lo Stato di diritto e la sostenibilità ambientale.

Nonostante il percorso verso l’entrata in vigore dell’AI Act sia inevitabilmente lungo e complesso, la Commissione si è impegnata a lanciare un “Patto per l’IA” che chiede agli sviluppatori di rispettare degli obblighi specifici prima ancora che diventi vincolante. L’AI Act dell’UE rappresenta, dunque, un significativo passo avanti nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale, bilanciando l’innovazione con la tutela dei diritti e della democrazia. Mentre il percorso verso l’attuazione completa potrebbe richiedere ulteriore tempo, la volontà di guidare l’evoluzione dell’IA in una direzione centrata sull’essere umano è un segno di responsabilità e lungimiranza da parte dell’Unione Europea.

Sotto tale ultimo aspetto, tuttavia, la concreta utilizzazione dei software di Intelligenza Artificiale, come Chat GPT, sta infervorando il dibattito in ordine al rapporto tra l’eventuale condotta illecita umana e il contributo fornito dall’A.I. per la realizzazione di quest’ultima.

La pervasività dell’intelligenza artificiale, rappresentata, ad esempio, da Chat GPT e prodotti simili, che godono di un ampio utilizzo potenziale, è ormai una caratteristica distintiva della nostra epoca. Questa diffusione pone l’urgente necessità di valutare se e in che misura tali applicazioni impongano o suggeriscano soluzioni giuridiche significativamente diverse da quelle tradizionalmente adottate per situazioni analoghe.

In primis, occorre sgomberare subito il campo da ogni eventuale equivoco, precisando come in situazioni in cui Chat GPT venga utilizzato per attività chiaramente e inequivocabilmente criminali, come la predisposizione di testi credibili per frodi informatiche, l’imputazione della responsabilità penale deve seguire gli ordinari criteri generali di attribuzione. Ad esempio, in caso di diffamazione online realizzata mediante la predisposizione di un testo ad hoc, generato da un software di Intelligenza Artificiale, la responsabilità penale deve ricadere inequivocabilmente sul soggetto che voluto tale output, poiché questo deve ritenersi il risultato di una sollecitazione umana volta a creare e utilizzare modalità espressive costituenti reato. All’evidenza, infatti, l’Intelligenza Artificiale, in sé e per sé, non può essere considerata un soggetto agente, perfettamente riconducibile nell’alveo dell’omonima dicitura penalistica, poiché difetta dei requisiti di consapevolezza e volontà richiesti inderogabilmente ai fini di una compiuta imputazione di natura penale. Seppur realizzata mediante software di Intelligenza Artificiale, la responsabilità penale deve rimanere ancorata unicamente all’azione umana realizzata mediante l’utilizzo del programma.

Il discorso può essere spostato su un piano di maggior incertezza, qualora ad essere valutate non siano più azioni dolose commesse dall’essere umano, ma quelle di natura non intenzionale. Soprattutto nell’ambito dei software di Intelligenza Artificiale ad oggi fruibili, tale aspetto assume un’indubbia importanza, posto che l’essere umano comune non ha la possibilità di intervenire sull’algoritmo modificandolo, ma può unicamente fruire dell’output generato dal programma.

Tra i commentatori, infatti, vi è chi evidenzia come l’opacità e l’imprevedibilità di strumenti basati sull’IA rendano estremamente difficile attribuire la colpa di un reato unicamente all’azione di un singolo individuo. Nel concreto, si pensi all’errore medico causato da un robot-chirurgo. In tale contesto ci si troverebbe dinnanzi ad un paradosso che, tuttavia, a livello pratico deve essere risolto: l’utilizzo lecito da parte dell’essere umano di un software di Intelligenza Artificiale potrebbe comportare la commissione di un fatto illecito, pressoché (se non addirittura totalmente) ascrivibile all’errore di un programma IA, seppur causato a sua volta da una censurabile elaborazione algoritmica di dati, provenienti da database inseriti da esseri umani.

Nel mare magnum delle molteplici interpretazioni in ordine alla responsabilità penale in tema di Intelligenza Artificiale, devono puntualizzarsi due punti chiave: in primo luogo, vi è la necessità di trovare una nuova categoria di responsabilità che sia in grado di includere le tipicità di tale nuova tecnologia, al di là del codice penale esistente. Secondariamente – e ciò costituisce l’aspetto maggiormente pragmatico – la creazione della predetta categoria di responsabilità non deve ostacolare lo sviluppo e l’uso di tali programmi.

Come anticipato in apertura, un simile approccio è stato adottato dall’Unione Europea mediante il cd. AI Act, seppur allo stato ancora in “fase embrionale”. Le regole introdotte dall’atto di matrice europea, tendono infatti ad armonizzare una serie di obblighi, come la valutazione del rischio, l’adozione di misure tecniche e organizzative per ridurre il rischio, la registrazione delle attività e l’adesione a principi etici.

Il regolamento proposto – in tutti i settori del diritto – cerca dunque di bilanciare l’innovazione tecnologica con la necessità di proteggere i diritti e la sicurezza degli individui. Tuttavia, la sua efficacia dipenderà dalla sua attuazione pratica e dalla sua capacità di evolversi con il rapido sviluppo delle tecnologie dell’Intelligenza Artificiale.


Avvocato Simone Facchinetti

Staff dello Studio Legale Facchinetti

RUBRICA – Pillole dell’avvocato

Internazionalizzazione e PMI: un approccio come Boutique

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Una Boutique legale alle prese con i rapporti Italia-Medio Oriente: Simone Facchinetti, Founder di Facchinetti Studio Legale, racconta la sua esperienza professionale.

F.L.: In che modo la sua realtà professionale incarna il modello Boutique?
S.F.: La relazione con il cliente è rapida e aggiornata, sempre gestita da due professionisti di Studio contemporaneamente. Offriamo un servizio di risk management, illustrando rischi, opzioni e soluzioni al singolo caso sottoposto, confrontandoci attivamente con il cliente con assertività e responsività.

Il team di studio è aggiornato, smart, sostenibile, assertivo, lavora con etica, nel rispetto della certificazione ESG.

Il nostro modello di business è concentrato su una clientela am- pia che viene selezionata e ristretta a seconda delle divisioni di materia e campo giuridico, con la ricerca di servizi altamente personalizzati a seconda delle necessità del caso e della strategia di approccio adottata sempre di concerto con il cliente. Interve- niamo nei seguenti settori: impresa, PMI italiana e estera, con dedizione al diritto internazionale, internazionalizzazione d’impresa, sponsorizzazione sportiva e gestione giuridica delle ope- re d’arte. Contrattualistica domestica e internazionale, creazione e protezione del personal branding, consulenza societaria che sfocia anche in gestione dei patrimoni personali/familiari, nella protezione delle opere d’arte e nell’ambito sportivo con la gestione dell’immagine/reputazione degli atleti, con attenzione tanto civilistica che penale.

Il team di studio è aggiornato, smart, sostenibile, assertivo, lavora con etica, nel rispetto della certificazione ESG.

F.L.: Quali peculiarità e quali potenzialità riscontra nelle sue strategie di business?
S.F.: Innovazione, reattività, sostenibilità, inclusione, etica e ricerca di una strategia di gestione del rischio/soluzioni concordate con il cliente.

È altresì importante l’approfondimento di temi e materie dedicate, dal societario alla contrattualistica, dal diritto sportivo al tratta- mento giuridico fiscale delle opere d’arte, dall’internazionalizzazione di impresa alla protezione dei marchi e personal branding, dalla finanza agevolata all’industria 5.0.
Attuiamo la ricerca di vantaggi competitivi operando con lealtà e trasparenza, instaurando relazioni autentiche con i clienti/colleghi/altri operatori del settore, definendo scopi, strategie e desiderata del cliente.
Catalizziamo le energie e competenze del team, in ottica di gestione del tempo e risorse nel miglior interesse per il cliente. Abbiamo la capacità di stabilire e mantenere relazioni di lungo termine con i clienti, sviluppando un rapporto di fiducia e collaborazione, attraverso l’assertività con il team di lavoro e con il cliente, per dedicare equilibrio nelle emozioni che connotano la nostra attività.
Inoltre, i ruoli di rappr. Uff. della Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi Uniti dal 2016 ad oggi, così come di legal advisor di Arab Fashion Council consentono una relazione diretta con operatori del settore stranieri (non solo emiratini e del Medio Oriente) per la ricerca del migliore intervento di export da dedica- re alle PMI italiane (e viceversa).
Una nostra challenge: ricerchiamo nuove sfide costantemente, tra queste la pubblicazione a breve del primo libro in materia di diritto di famiglia sulle spese ordinarie e straordinarie da ripartir- si tra i genitori per i figli, individuando nuove frontiere e strumenti di soluzione nella gestione della crisi familiare.

F.L.: Il suo studio si occupa in particolar modo di rapporti Italia Medio-Oriente, all’interno del settore di Interna- zionalizzazione d’impresa. Nel ruolo di Boutique, come gestisce il suo studio questa particolare practice?

S.F.: Attraverso il monitoraggio delle novità normative, culturali, fiscali, economiche e commerciali dello Stato emiratino e del Medio Oriente e con la verifica delle tendenze di mercato, le opportunità di investimento e le sfide specifiche che le PMI italiane possono incontrare espandendosi in questa macroarea. Curiamo anche lo sviluppo di una vasta rete di contatti e partnership con professionisti, istituzioni e imprese negli Emirati Arabi Uniti, strategici per identificare le migliori e più adatte opportunità di business e partnership per i clienti. Nel gestire questa practice, lo Studio si concentra sulla consulenza personalizzata e sulla pianificazione strategica, comprendendo le loro esigenze, valutando i rischi, le opportunità e sviluppando piani d’azione su misura per assisterli nel raggiungimento dei loro obiettivi. Forniamo una c.d. “cassetta degli attrezzi” dedicata alle azioni di export. Infine, viene offerto supporto continuo e follow-up durante tutto il processo di internazionalizzazione d’impresa.

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1° giugno 2023: entra in vigore il Brevetto Unitario e il Tribunale Unificato dei Brevetti

L’introduzione del Brevetto Unitario e del Tribunale Unificato dei Brevetti, costituiscono una tappa fondamentale dell’evoluzione del processo di creazione di una protezione uniforme brevettuale nell’Unione. La tutela brevettuale unitaria, infatti, favorisce il funzionamento del mercato interno e del commercio, rendendo l’accesso al sistema brevettuale più facile, economicamente meno oneroso e giuridicamente sicuro garantendo altresì delle misure più efficaci di armonizzazione delle norme interne all’Unione Europea.

Con uno sguardo alla normativa comunitaria, di particolare importanza sono l’istituzione di due regolamenti: il Regolamento UE n. 1257/2012 e il Regolamento UE n. 1260/2012; il primo relativo all’attuazione di una tutela brevettuale unitaria mentre il secondo autorizza la cooperazione rafforzata per il regime di traduzione applicabile. A ciò si aggiunge anche l’accordo del Consiglio dell’Unione Europea n. 2013/C 175/01 che ha istituito il Tribunale Unificato dei Brevetti.

Il Brevetto Unitario  

Il Brevetto europeo con effetto unitario viene rilasciato dall’Ufficio Europeo dei brevetti (EPO) e consente, attraverso il pagamento di un’unica tassa di rinnovo all’EPO, di ottenere contemporaneamente la protezione ventennale nei 17 paesi UE che hanno ratificato l’accordo TUB. Ad oggi, gli stati aderenti sono 25, ma il brevetto unitario si può far valere solo nei paesi che hanno ratificato i regolamenti che sono appunto solo 17. È bene notare che il brevetto unitario non si sostituisce, ma si affianca, alla tutela brevettuale già esistente.

Dall’art. 3 del Reg. UE n. 1257/2012 si evince la definizione di Brevetto europeo con effetto unitario, ossia un brevetto europeo la cui peculiarità è quella di possedere un carattere unitario: fornire una protezione uniforme e avere pari efficacia in tutti gli Stati Membri partecipanti. Pertanto, esso può essere limitato, trasferito, revocato o estinto unicamente in relazione agli Stati membri partecipanti.

Per quanto riguarda gli effetti del Brevetto unitario, sono indicati al capo II del Reg. UE n. 1257/2012, in particolare l’art. 5 afferma che “il brevetto europeo con effetto unitario conferisce al titolare il diritto di impedire a qualsiasi terzo di commettere atti avverso i quali tale brevetto fornisce tutela in tutti i territori degli Stati Membri partecipanti in cui ha effetto unitario, fatte salve le limitazioni applicabili.” Inoltre, in relazione al principio di uniformità del diritto, rilevante è l’art. 7 del Reg. UE n. 1257/2012 in base al quale il brevetto europeo con effetto unitario è considerato nella sua totalità e in tutti gli Stati Membri partecipanti come un brevetto nazionale dello Stato in cui tale brevetto abbia effetto unitario.  

Il Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC)

Prima dell’introduzione del Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC: Unified Patent Court), la tutela brevettuale nell’Unione era fondata sul Brevetto europeo, che tuttavia non offre una tutela unitaria. Il Brevetto europeo infatti è governato dalla Convenzione sul brevetto europeo e dalle leggi nazionali degli Stati Membri della convenzione stessa, dunque ricade sotto la giurisdizione del tribunale nazionale di ciascuno stato. Di conseguenza, ciò può portare ad avere difficoltà quando il titolare del brevetto desidera far valere un brevetto europeo in più paesi e il contenzioso in più paesi comporta il rischio di dover affrontare decisioni del tutto divergenti dinnanzi a tribunali differenti con il conseguente aumento esponenziale del rischio di soccombenza e dei costi legali. Al fine di superare queste difficoltà, è stato introdotto un Tribunale Unificato con competenza esclusiva sia per i brevetti unitari che europei.

Il vantaggio principale del Tribunale Unificato dei Brevetti (UPC) è rappresentato dalla giurisdizione unica che elimina la necessità, in caso di violazione del brevetto, di avviare contenziosi paralleli dinanzi ai tribunali nazionali in una molteplicità di giurisdizioni europee, con un beneficio in termini di economia processuale. Vi sarà, infatti, un’unica procedura giudiziaria il cui esito sarà valido contemporaneamente in tutti i paesi dove il brevetto è efficace e protetto. Durante una prima fase iniziale, chiamata periodo transitorio della durata di 7 anni, solo per i Brevetti Europei già concessi avranno la facoltà di escludere la competenza dell’UPC mediante una richiesta di rinuncia definita “opt-out”, la quale può essere presentata mediante un modulo standard disponibile sul sito web dell’UPC. In questo modo la giurisdizione, sarà, quindi unicamente quella dei singoli Paesi di convalida del brevetto. Similmente, la legislazione concede la possibilità di revocare tale scelta attraverso una richiesta di “opt-in”, salvo che non sia già stata proposta un’azione di fronte ad una Corte nazionale.

In relazione alla sua composizione, l’UPC si articola in un Tribunale di primo grado, una Corte d’Appello con sede a Lussemburgo e una Cancelleria ubicata presso la Corte d’Appello. Il Tribunale di primo grado si compone a sua volta, in una divisione centrale con sede a Parigi e sezioni a Monaco e Londra, ma a seguito della Brexit è necessario trovare un’altra collocazione; il governo italiano ha individuato Milano come possibile terza sede. Inoltre, sono previste anche delle divisioni locali e regionali, in questo caso possono essere istituite in ogni stato membro contraente che ne faccia richiesta, decidendone anche la rispettiva sede. La distribuzione delle azioni tra le divisioni del Tribunale, è, invece, regolata dall’art. 33 dell’Accordo. Secondo la norma in questione, “le azioni di contraffazione, di risarcimento del danno, cautelari e per gli indennizzi, sono di competenza delle divisioni locali e regionali.” Invece, “le azioni di nullità in via principale, quelle di accertamento negativo e quelle relative alle decisioni dell’UEB, confluiscono alla sede centrale.”

Infine, per quanto riguarda la lingua del procedimento davanti al tribunale di primo grado, l’art. 49 afferma che “La lingua del procedimento dinnanzi alle divisioni regionali o locali è una lingua ufficiale dell’Unione europea che è la lingua ufficiale o una delle lingue ufficiali dello Stato membro contraente che ospita la divisione interessata. “Vi è la possibilità di derogare a tale regola in quanto gli Stati Membri possono scegliere una o più lingue ufficiali dell’Ufficio europeo dei brevetti oppure per motivi di praticità si può utilizzare la lingua in cui è stato rilasciato il brevetto. Invece, la lingua del procedimento presso la divisione centrale è quella in cui è stato rilasciato il brevetto.  

In conclusione, le misure adottate dall’Unione, dunque, hanno come obiettivo quello di eliminare la frammentazione del mercato dei brevetti e le ampie discrepanze tra i differenti ordinamenti giuridici nazionali che possono rappresentare un pregiudizio alla ricerca e all’innovazione, cercando, invece, di favorire una tutela amplificata dei diritti di proprietà intellettuale.

LA NUOVA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE dell’Avv. Simone Facchinetti

Con Legge n. 206 del 26 novembre 2021, la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica hanno delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti alla riforma del processo civile entro il termine di un anno dall’entrata in vigore della legge delega.

La legge delega prevede i principi e i criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi nell’emanazione di tali decreti: il fine della riforma è quello di garantire una maggiore efficienza, razionalità e speditezza dei procedimenti civili, operando sempre nel rispetto del principio del contraddittorio.

Si è cercato di raggiungere tali obiettivi sia attraverso la conferma delle innovazioni introdotte a seguito dell’emergenza sanitaria, quali la possibilità di effettuare udienze da remoto e in modalità di trattazione scritta, sia attraverso la riforma dei vari procedimen- ti previsti dal Codice di Procedura Civile.

In primo luogo, è stato innovato il processo di primo grado davanti al Tribunale. Con l’obiettivo di accelerare i tempi di definizione del giudizio, è ora previsto che sia l’atto di citazione che la comparsa di costituzione debbano già contenere le istanze istruttorie e i documenti. Lo scambio delle memorie viene anticipato alla fase anteriore alla prima udienza: a fronte della com- parsa di costituzione del convenuto, l’attore potrà depositare memoria formulando domande ed eccezioni che siano conseguenza delle domande ed eccezioni del convenuto, come la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo, nonché indicare nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti; entro un ulteriore termine prima dell’udienza, anche il convenuto potrà depositare le proprie memorie per modificare le proprie domande, indicare nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti. Nel corso della prima udienza, dunque, il giudice potrà provvedere direttamente all’ammissione delle istanze istruttorie: occorre, però, tener presente che egli potrà procedere in tal senso solo nel caso in cui abbia avuto esito negativo il tentativo obbligatorio di conciliazione tra le parti, tenute a comparire personalmente a tale udienza. L’eventuale udienza di assunzione delle prove deve essere fissata entro 90 giorni. Anche la fase decisoria viene forte- mente riformata nell’ottica di garantire una maggiore speditezza della procedura, mediante l’abolizione dell’udienza di precisazione delle conclusioni e la previsione di termini più ristretti: il Giudice, infatti, potrà emettere sentenza a seguito di discussione orale ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.. oppure, ove non ritenga di procedere a norma di tale articolo, potrà fissare udienza di rimessione della causa in decisione, assegnando un termine non superiore a 60 giorni prima di tale udienza per il deposito di note contenenti la precisazione delle conclusioni, un secondo termine non superiore a 30 giorni prima di tale udienza per il deposito di comparse conclusionali e un terzo termine non superiore a 15 giorni prima di tale udienza per il deposito di memorie di replica. Se il Giudice è monocratico, la sentenza dovrà essere depositata entro 30 giorni; invece, se il Giudice è collegiale (si noti bene che la riforma prescrive la riduzione dei casi in cui il Tribunale debba giudicare in composizione collegiale), la sentenza dovrà essere depositata entro 60 giorni. Alla disciplina del processo di primo grado avanti al Tribunale, dovrà altresì uniformarsi la disciplina del giudizio avanti al Giudice di Pace.

Anche il giudizio di appello è stato riformato, non solo con la re-introduzione della figura del consigliere istruttoria, ma anche attraverso l’uniformazione alla nuova disciplina del giudizio di primo grado: anche in appello, infatti, è prevista l’abolizione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, sostituita da un’udienza per la rimessione della causa in decisione e la previsione del deposito dei fogli di precisazione delle conclusione e delle memorie conclusioni prima di tale udienza. È previsto altresì che la sentenza debba essere depositata entro 60 giorni.

Per quanto riguarda il giudizio di cassazione, la novità più rilevante riguarda l’introduzione del rinvio pregiudiziale in cassazione, tramite il quale il giudice di merito può ottenere che la Suprema Corte pronunci immediatamente il “principio di diritto” relativo ad una questione esclusivamente giuridica che presenti gravi difficoltà interpretative, sia particolarmente importante e sia dunque suscettibile di porsi in numerose controversie. L’attenzione del legislatore non è stata rivolta in via esclusiva al processo di cognizione, ma anche al processo di esecuzione. Anche in tal caso, le innovazioni sono volte a favorire un’accelerazione dei tempi per procedere a pignoramenti e sfratti: la novità più importante è senza dubbio rappresentata dall’abolizione delle disposizioni sul titolo esecutivo e sulla spedizione in forma esecutiva. In questo modo, infatti, non sarà più necessario accedere in cancelleria per il rilascio della formula esecutiva, ma basterà attestare la conformità dell’atto all’originale, con notevole risparmio di costi e di tempi.

Si sottolinea, infine, che con questa riforma il legislatore ha inteso anche promuovere il ricorso agli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, prevedendo non solo un’estensione sia dei casi in cui è obbligatorio ricorrere alla mediazione che dei casi in cui è possibile ricorrere alla negoziazione assistita, ma anche l’introduzione di nuovi incentivi sia fiscali (es.: incremento della misura dell’esenzione dall’imposta di registro, credito d’imposta commisurato al compenso dell’avvocato etc.) che giuridici (es.: disciplina più specifica dell’istruttoria stragiudiziale, con l’obiettivo di rendere le prove utilizzabili nell’eventuale successivo giudizio di merito). Per razionalizzare la materia, il Governo è stato in particolare delegato ad adottare un testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione (TUSC).

Infine, si segnala che la parte finale del testo legislativo ha ad oggetto la riforma dei procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglia, con la previsione di un unico rito appli- cabile a tutti i procedimenti relativi alla materia e dell’istituzione del nuovo “Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie”, che andrà a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni. Si evidenzia l’attenzione che il legislatore ha rivolto al tema della violenza domestica e/o di genere, in ottemperanza a quanto pre- visto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa firmata a Istanbul in data 11 maggio 2011 e in risposta ai più recenti fatti di cronaca che hanno reso evidente la necessità di un intervento legislativo più incisivo.

Non resta, dunque, che attendere l’emanazione dei decreti legislativi al fine di valutare l’effettivo impatto che tale riforma avrà sulla giustizia italiana.

IL COMMERCIO INTERNAZIONALE TRA PANDEMIA, RIPRESA E CANALE DI SUEZ

L’export è una chiave per capire lo stato di salute delle imprese e pertanto di ciascun Stato. Lo scenario internazionale in periodo COVID-19 è caratterizzato da nuovi segnali di protezionismo posti in essere dai almeno 80 paesi nel mondo, al fine di tutelare le imprese, prodotti, servizi nazionali e per contro sfavorire le importazioni con l’introduzione di restrizioni commerciali varie. Il Commissario UE al Commercio – l’irlandese Phil Hogan – rimane convinto come il commercio internazionale debba essere un pilastro della prossima ripresa economica, con una adeguata protezione delle imprese europee più delicate da eventuali svendite e pretendere parità di accesso al mercato, con la riduzione o eliminazione di tariffe e incoraggiando la riduzione di qualsiasi barriera la commercio. I temi dello sviluppo del settore digitale e della attenzione alla sostenibilità ambientale rimangono sempre di attualità e da incoraggiare.

Sono le previsioni, su dati Oxford Economics, la ripresa delle esportazioni, per le imprese italiane, potrà partire nel quarto trimestre di quest’anno. Non per tutti i settori e verso qualsiasi stato: 

  • si segnalano i settori agroalimentare, farmaceutico e delle apparecchiature medicale tra quelli con alto tasso di successo;
  • così come si segnalano i settori del turismo, logistica trasporto e automotive tra quelli più colpiti e con ripresa lenta;
  • mentre ripartiranno gradualmente e con il fattore “fiducia” consolidato, anche i settori dell’alta moda, gioielleria, design e arredi;
  • i Paesi come la Cina, il Vietnam o le Filippine, così come la Germania saranno tra le prime mete dell’Export italiano;
  • nonché, fuori dall’UE, avranno ottime prospettive di sbocco per l’Export Italiano: gli Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita (malgrado i minori incassi dal petrolio), il Perù, la Colombia e il Cile (paesi dell’America latina ove l’Italia realizza molte infrastrutture).

La pandemia ha evidenziato la criticità legata al blocco delle filiere nelle forniture di beni a livello internazionale con conseguenti ritardi nell’approvvigionamento di merci e necessità per tutti i paesi di ripensare alle produzioni nazionali interne di tutti i componenti di un bene, con possibili maggiori costi iniziali a anche possibili positivi effetti sul comparto innovazione, stimolo a nuova occupazione e attrazione di giovani talenti.

Le normative europee – tra cui il Recovery Fund – puntano ad una condivisione delle nuove politiche economiche volte al superamento della pandemia.

Così come per l’Italia,  il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza  (PNRR) appare lo strumento per cogliere la grande occasione del Next Generation EU e rendere l’Italia un Paese più equo, verde e inclusivo, con un’economia più competitiva, dinamica e innovativa. Un insieme di azioni e interventi disegnati per superare l’impatto economico e sociale della pandemia e costruire un’Italia nuova, intervenendo sui suoi nodi strutturali e dotandola degli strumenti necessari per affrontare le sfide ambientali, tecnologiche e sociali del nostro tempo e del futuro. Questi i focus, in preparazione la strategia complessiva che mobiliterà oltre 300 miliardi di euro: una occasione cruciale e decisiva per il nostro futuro. Un ambizioso pacchetto di investimenti e riforme in grado di liberare il potenziale di crescita della nostra economia, generare una forte ripresa dell’occupazione, migliorare la qualità del lavoro e dei servizi ai cittadini e la coesione territoriale e favorire la transizione ecologica.

23 marzo 2021: la Ever Given, una nave portacontainer di 400 metri di lunghezza e una capacità di 20mila container (proveniente dalla Cina con destinazione Rotterdam e registrata a Panama, gestita da una società tedesca, controllata dalla società taiwanese Evergreen, con equipaggio indiano) si incaglia nel Canale di Suez, bloccando una delle rotte marittime più trafficate al mondo. Un incidente, un evento di “forza maggiore”, una tempesta perfetta che evidenzia l’estrema fragilità del commercio internazionale e vulnerabilità dei trasporti marittimi e in particolare di infrastrutture strategiche come il Canale di Suez.  Secondo notizie di stampa sembra che la Ever Given sia stata investita da un’improvvisa tempesta di sabbia – con conseguenze sulla ridotta visibilità della rotta e manovrabilità della nave – così ostruendo completamente il passaggio da un lato all’altro del canale e creando un ingorgo che rischia di congestionare i porti di mezza Europa.

Un blocco che interessa anche l’Italia, che nel Canale di Suez vede transitare ogni anno circa il 40% di tutto il suo import-export marittimo. Inoltre, in conseguenza dell’incidente e dei possibili disagi nell’approvvigionamento di petrolio – da Suez transita il 7% del commercio mondiale di greggio e il 12% del commercio globale

La catena delle supply chains, già messa a dura prova durante la pandemia e attualmente con la distribuzione dei vaccini, mostra nuovamente la sua vulnerabilità con necessarie riflessioni:

  • sull’incidenza nelle catene di approvvigionamento dei c.d. ‘colli di bottiglia’ (o Checkpoints), percorsi stretti o canali artificiali strategici per le rotte commerciali internazionali tanto di materiali quanto di energie;
  • sui pericoli esistenti da blocchi come questi: navi ferme nei porti e nelle acque internazionali possono essere oggetto di atti di crimini marittimi (es. sequestro di equipaggi), pirateria, attacchi terroristici, incidenti navali;
  • sul tema dei risarcimenti dei danni a carico dei responsabili del blocco e sugli interventi delle varie compagnie assicurative (dai pagamenti delle operazioni di salvataggio ai risarcimenti per i danni provocati dal blocco delle altri navi, delle merci, dal blocco e ostruzione del canale, ecc.);
  • sulla praticabilità di nuove rotte, anche di più lunga percorrenza con conseguenti maggiori costi di trasporto (dai 250 ai 500mila euro in più per viaggio) e dilungamento dei tempi di consegna (almeno dai 12 ai 20 gg in più);
  • sulla configurazioni di nuovi equilibri sullo scacchiere geopolitico, basti pensare a come intere regioni del mondo (Europa compresa) si sono ritrovate senza prodotti di cui, fino al giorno prima, neanche sapevano di avere bisogno: mascherine e dispositivi sanitari, provenienti per almeno inizialmente da Oriente;
  • sulla programmazione delle economie, visto come l’andamento non lineare dell’epidemia ha portato a provvedimenti di lockdown sfalsati tanto a livello mondiale che statale;
  • sul ripensamento verso catene di supply chain più corte e sostenibili a livello interno;
  • sul trend del “gigantismo” delle navi, le maxinavi hanno capacità di trasporto di molta più merce in un solo viaggio e con costi di inquinamento minori per il pianeta (secondo quanto indicato dal International Maritime Organization quanto a efficienza per carico trasportato), ma in caso di incidente portano con sé ripercussioni dannose a cascata per l’intero sistema (basti pensare come vi sono oltre 320 navi bloccate, di cui 30 petroliere, ancorate nelle acque ai due estremi e lungo lo stretto di Suez e come ad oggi si stimano danni di oltre 170milioni di euro richiesti all’armatore della Ever Given da parte delle compagnie marittime le cui unità non hanno potuto imboccare il canale e dai proprietari dei loro carichi).

Commercio internazionale e  globalizzazione in un epoca sempre più digitale mostrano la loro fragilità e vulnerabilità di fronte alla realtà di accadimenti inaspettati ma dirompenti. Occorre una nuova visione dell’ecosistema economico per garantire un futuro più equilibrato al nostro pianeta.

Come deve essere trattato il lavoratore dipendente che rifiuti di sottoporsi al vaccino anti covid?

A poco più di un anno dall’individuazione del paziente zero in Italia, la campagna vaccinale sta proseguendo a pieno ritmo anche nel nostro Paese. Dopo il turno degli operatori socio – sanitari, è ora giunto il momento degli over 80, per poi raggiungere, a scalare, le altre fasce di età.

Come ben noto, in Italia non c’è l’obbligo di vaccinarsi: secondo alcuni costituzionalisti, il vaccino potrebbe essere reso obbligatorio solo attraverso una legge approvata dal Parlamento. L’art. 32 Cost. infatti, prevede che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

La mancanza di una legge che, attualmente, imponga l’obbligo di vaccinarsi pone il problema consequenziale di come debbano essere trattati i soggetti che rifiutano il vaccino. Problema che, a ben vedere, appare ancora più sentito in ambiente lavorativo.

Si pensi, ad esempio, ad un lavoratore dipendente che rifiuti di sottoporsi al vaccino: cosa può fare il datore di lavoro?

In mancanza di una legge ad hoc, in linea anche con i principi costituzionali, nessun datore di lavoro potrebbe in Italia obbligare un dipendente alla vaccinazione anti covid. Ciò posto, l’azienda potrebbe, però, decidere di sospendere il lavoratore che rifiuta la somministrazione, senza diritto alla retribuzione. Si tratta di una scelta che appare giustificata dalla necessità di garantire la sicurezza nei confronti del resto del personale.

Il titolare dell’azienda potrebbe, poi, incentivare il lavoratore a vaccinarsi, prevedendo una serie di benefici (come ad esempio la previsione di premi).

Il dibattito relativo a come debbano essere trattati i dipendenti che rifiutino la vaccinazione anti covid è avvertito anche nel resto dei Pesi del Mondo: diverse, però, le soluzioni che possono essere adottate.

In alcuni Stati (Belgio, Irlanda, Polonia, Argentina, Messico), è del tutto esclusa la possibilità di licenziare il dipendente che si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione.

In Brasile e in Austria, invece, il licenziamento è un’ipotesi contemplata.

Per altri paesi, invece, tra cui l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Russia e gli Stati Uniti, il licenziamento è prevista quale misura da adottare in extrema ratio, qualora, cioè, non sia possibile adottare misure diverse capaci di tutelare allo stesso tempo il lavoratore che si rifiuta e la sicurezza degli altri lavoratori. Nello specifico, il datore di lavoro potrebbe adottare delle misure conservative quali, ad esempio, il mutamento di mansioni o lo smart working. Si tratta di misure che appaiono capaci di tutelare da un lato sia il lavoratore che sceglie di non vaccinarsi, sia la sicurezza degli altri dipendenti. Qualora, però, tali misure non appaiano possibili ovvero non risultino più essere in linea con le esigenze dell’azienda, il dipendente potrebbe essere considerato “temporaneamente inidoneo” a svolgere la mansione in sicurezza, non essendosi vaccinato. Pertanto, essendo ritenuto temporaneamente inidoneo, potrebbe finanche subire una sospensione dello stipendio.

Se, poi, la sua assenza dal lavoro potrebbe pregiudicare l’organizzazione aziendale (in quanto trattasi di assenza indeterminata nella sua durata, ad esempio), allora potrebbe essere ipotizzata anche l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In definitiva, dunque, in Italia non sembra prospettabile come prima ipotesi la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente che non si sottopone al vaccino. Ciò nonostante, qualora tale scelta si traduca ed integri la causa del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, allora appare possibile il licenziamento.

Vi è, infine, un ultimo punto rilevante da considerare, relativo alla protezione dei dati del lavoratore: può l’azienda chiedere direttamente ai dipendenti di confermare l’avvenuta vaccinazione e pretendere l’esibizione dell’apposito certificato?

La questione è stata affrontata anche dal Garante della Privacy, il quale ha precisato che il datore di lavoro non può chiedere direttamente ai dipendenti informazioni o documenti relativi all’avvenuta vaccinazione. Solamente il medico del lavoro, in sede di giudizio circa l’idoneità del dipendente alla mansione, potrà accertare se c’è stata o meno la vaccinazione.

In una prospettiva comparata ed internazionale, è bene segnalare come in altri Paesi le soluzioni adottate siano differenti. In particolare, in Paesi come il Brasile, la Germania e la Polonia, i dati relativi alla vaccinazione del dipendente possono essere utilizzati direttamente dal datore di lavoro. In altri Paesi, invece, come la Repubblica Ceca, la Russia e il Messico, tali dati possono essere trattati dal datore di lavoro solo in presenza di specifiche condizioni, come ad esempio il previo consenso del lavoratore.

La nuova frontiera del diritto dei contratti: smart contracts e disciplina applicabile

Nel diritto dei contratti ha fatto ingresso un nuovo tipo di contratto, destinato ad avere grande utilizzo negli anni a venire, soprattutto nel settore energetico e bancario: si tratta dello smart contract.

Per comprendere le potenzialità applicative che offre questo strumento, ma anche, allo stesso tempo, le criticità che esso pone, occorre anzitutto capirne il funzionamento.

La definizione di smart contract viene offerta dal legislatore nella L. 11 febbraio 2019 n. 12 (recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 14 febbraio 2018 n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione delle imprese e per la pubblica amministrazione”), ove, all’art. 8-ter, disciplina lo smart contract come un “programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”.

Prima di soffermarsi sul funzionamento e sulla disciplina dello smart contract, occorre anzitutto chiedersi in quale categoria di contratti possa essere inquadrato. La risposta a tale quesito appare agevole: lo smart contract deve essere inquadrato nella categoria dei contratti digitali. Ciò posto, occorre capire quali sono le differenze rispetto agli altri contratti digitali, vale a dire i contratti telematici e i contratti cibernetici. Nei contratti telematici, lo strumento telematico rappresenta solo il veicolo di trasmissione della volontà dei contraenti. Nei contratti cibernetici, invece, lo strumento telematico non è solo veicolo della volontà, ma è anche strumento che determina la volontà dei contraenti.

Negli smart contracts, invece, la volontà si manifesta attraverso un algoritmo che si autoesegue. Si tratta, pertanto, di software che, una volta programmati, sono autoeseguibili su piattaforme blockchain (a tal proposito, si ricordi come la piattaforma blockchain sia un registro digitale in cui i dati sono registrati a blocchi. Si tratta di un sistema caratterizzato dalla immodificabilità e immutabilità).

Così inquadrato lo smart contract, occorre soffermarsi sul procedimento di formazione, che può essere scomposto in tre fasi.

Le parti che vogliono concludere uno smart contract devono anzitutto “trasformare” la loro volontà in un linguaggio informatico. Tale fase iniziale di programmazione del linguaggio informatico, detta coding, diventa fondamentale: una volta, infatti, che il contratto è stato concluso, esso è immodificabile (come meglio verrà spiegato infra) e nessun errore di formazione della volontà potrebbe rilevare, nemmeno se questo errore ha riguardato il processo di traduzione del linguaggio.

Tradotta, dunque, la volontà contrattuale in linguaggio informatico, si passa alla fase successiva della pubblicazione. In questa fase, le parti procedono a convalidare il contratto mediante un sistema crittografico a doppia chiave asimmetrica. Una volta convalidato, lo smart contract viene pubblicato nel sistema blockchain e da quel momento diventa immodificabile.

L’ultima fase, infine, concerne l’esecuzione del contratto ed è caratterizzata da una esecuzione automatica del contratto. Eseguendosi in maniera automatica, i rischi di inadempimento del contratto vengono sostanzialmente azzerati. Proprio per questo, però, si apprezza ancora di più la fase della programmazione e traduzione in linguaggio informatico delle volontà contrattuali: una volta che lo smart contract è stato concluso e pubblicato sulla piattaforma blockchain (divenuto cioè immodificabile), esso si autoesegue.

Due, dunque, appaiono essere le caratteristiche fondamentali dello smart contract: l’immodificabilità e l’autoeseguibilità.

Così descritto il procedimento da seguire per arrivare alla conclusione di uno smart contract, occorre ora soffermarsi sulle potenzialità di questo strumento.

Innanzitutto, come già anticipato, diretta conseguenza dell’autoeseguibilità dello smart contract è la circostanza che questo non possa rimanere inadempiuto. Una prima grande potenzialità dello smart contract, dunque, riposa proprio nel neutralizzare il rischio dell’inadempimento. Verificatesi le condizioni descritte nello smart contract, infatti, esso si esegue in automatico.

Ma non solo. Una volta che lo smart contract viene pubblicato sul sistema blockchain, tutte le vicende contrattuali diventano conoscibili ai partecipanti della rete. Tale caratteristica appare estremamente importante in quanto è in grado di evitare che si verifichino conflitti tra più aventi causa del medesimo bene.

In definitiva, si può dunque dire che gli smart contracts garantiscano massima sicurezza nella circolazione di beni e diritti.

Così enucleate le principali potenzialità dello strumento contrattuale di nuovo conio, occorre però anche soffermarsi sulle sue criticità. Le criticità, come si vedrà, sono principalmente legate all’immodificabilità del contratto. Se, dunque, da un lato l’immodificabilità può soddisfare esigenze di certezza nella circolazione dei beni, dall’altro può porre dei problemi in termini di gestione delle sopravvenienze contrattuali.

Una volta, infatti, che il contratto viene concluso e pubblicato, esso è immodificabile, e a nulla possono rilevare eventuali circostanze che erano imprevedibili alle parti nel momento di conclusione dello stesso. In altri termini, se durante l’esecuzione del contratto intervengono fattori del tutto eccezionali e imprevedibili che rendono eccessivamente gravoso il contratto, le parti non possono avvalersi del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Ciò, però, non toglie che le parti possano gestire le sopravvenienze prevedibili nella fase fisiologica della conclusione del contratto. In questa fase, le parti possono gestire eventi futuri e incontrollabili attraverso l’istituto della condizione.

Lo smart contract, infatti, funzione secondo il ragionamento if/when: al verificarsi di un determinato evento, ne succede un altro. Le parti, dunque, potranno gestire le eventuali sopravvenienze attraverso questo meccanismo: al verificarsi di un dato evento futuro e incerto, il contratto produrrà i suoi effetti (condizione sospensiva), oppure cesserà di produrre i suoi effetti (condizione risolutiva).

Lo smart contract, dunque, è un contratto necessariamente condizionato, in quanto la condizione è l’unico strumento che le parti hanno a disposizione per gestire le sopravvenienze contrattuali (ovviamente si sta sempre parlando di sopravvenienze prevedibili al momento della conclusione del contratto). Se è così, allora per gli smart contracts la condizione abbandona il ruolo di elemento accidentale (come normalmente accade nei contratti) per assumere quello di elemento essenziale.

In definitiva, la principale criticità dello smart contract è l’impossibilità di gestire le sopravvenienze contrattuali che non possano essere controllate dalle parti in sede di conclusione del contratto con lo strumento della condizione.

Altra problematica connessa all’immodificabilità del contratto, poi, è legata al tema delle invalidità contrattuali. L’ordinamento, infatti, non tollera l’esistenza di un contratto invalido. Ebbene, se tale contratto è uno smart contract, tale esigenza si scontra con il tipo contrattuale, che, essendo pubblicato su piattaforma blockchain, è immodificabile. Da qui, dunque, l’auspicabilità che vengano individuati dei rimedi per far fronte all’invalidità degli smart contracts e, conseguentemente, decretarne l’inefficacia.

L’impossibilità di modificare uno smart contract porta anche ad interrogarsi in ordine a come questo contratto possa essere integrato dalla legge, a norma dell’art. 1374 c.c. (la norma, infatti, prevede che il contratto obblighi le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi). Le caratteristiche del tipo contrattuale, infatti, rendono difficoltosa una integrazione della stesso ad opera della legge.

Infine, un’ultima criticità appare legata all’aspetto dell’autoeseguibilità dello smart contract.

La circostanza per cui lo smart contract si autoesegue impone un ripensamento anche in ordine al principio per cui, ai sensi dell’art. 1375 c.c., nell’esecuzione del contratto le parti devono comportarsi secondo buona fede. In questi casi, essendo l’esecuzione del contratto assolutamente automatica, nessuna rilevanza può essere accordata al comportamento delle parti. Ciò implica, dunque, un ripensamento del concetto di buona fede nell’esecuzione contrattuale.

In definitiva, gli smart contracts rappresentano l’ultima frontiera del diritto dei contratti. Sebbene tali contratti siano idonei a soddisfare esigenze quali la certezza della circolazione della ricchezza, pongono non pochi problemi circa la necessità di conciliare le sopravvenienze contrattuali e il tema delle invalidità contrattuali con le caratteristiche di non modificabilità degli stessi contratti.

Nuove sfide, dunque, si pongono all’interprete, soprattutto in punto di disciplina e di modalità di concepimento dell’autonomia privata: sfide che andranno necessariamente vinte, considerato l’impatto che gli smart contracts avranno nell’economia contrattuale, soprattutto nel settore energetico e bancario.