Donare il sangue è un atto di solidarietà altruista e sicuro, che può salvare vite umane.
L’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue – https://www.avis.it/) è un’organizzazione non-profit che si dedica alla raccolta di sangue e alla promozione della cultura della donazione. Presente in tutta Italia, conta su migliaia di volontari che si impegnano ogni giorno per fare una grande differenza nella vita di chi ha bisogno di sangue.
Il sangue donato viene utilizzato per curare malattie, durante interventi chirurgici, in caso di incidenti e molte altre situazioni di emergenza e conuna sola trasfusione è possibile salvare fino a tre vite umane.
La donazione di sangue è anonima e gratuita e non comporta alcun rischio per la salute del donatore, poiché il materiale utilizzato è ovviamente sterile e monouso.
Anzi, grazie ai periodici controlli medici, il donatore tiene sotto controllo la propria salute e individua prontamente eventuali problemi di cui potrebbe non essere consapevole.
Inoltre, la donazione del sangue può migliorare la circolazione sanguigna nel corpo, riducendo il rischio di malattie cardiovascolari e migliorando l’apporto di ossigeno ai tessuti.
La donazione di sangue è aperta a tutti coloro che rispondono ai requisiti richiesti, ovvero:
ETÀ. Per candidarsi come donatore è necessario avere un’età compresa tra i 18 e i 60 anni. Tuttavia, è possibile fare la richiesta anche dopo i 60 anni , previa autorizzazione del medico responsabile della selezione. Sarà possibile continuare a donare il sangue fino al 70° anno, sempre a seguito di valutazione dello stato di salute.
PESO, che non può essere inferiore ai 50kg
STATO DI SALUTE BUONO
STILE DI VITA sano, privo di comportamenti che possano compromettere la salute di chi riceve il sangue donato.
A tal proposito, viene sempre effettuato un controllo medico per verificare l’idoneità alla donazione e la sicurezza del donatore.
Diventare donatore AVIS è molto semplice. Infatti, è sufficiente prendere contatto con la sede associativa più vicina (https://www.avis.it/mosaic/it/sedi-territoriali) e chiedere informazioni sulla visita di idoneità. Successivamente si fisserà un appuntamento per sottoporsi agli accertamenti necessari tramite questionario e colloquio medico, nonché a una visita medica e un prelievo del sangue per ulteriori accertamenti.
Se da tali accertamenti non si riscontrano anomalie, è possibile fissare la prima donazione, o se possibile, donare direttamente.
Donare il sangue è un gesto di grande generosità che può fare la differenza nella vita di molte persone e, tra tutti i benefici, quello più importante per il donatore è senz’altro il senso di gratificazione di aver aiutato qualcuno in difficoltà.
Con l’arrivo dei mesi invernali, molte persone tendono a ridurre le loro attività fisiche, o addirittura a fermarsi completamente.
Il freddo potrebbe infatti non sembrare un grande alleato, ma è importante non farsi dominare dalla pigrizia e mantenersi attivi in maniera costante, sia all’aperto che al chiuso.
Inoltre, l’inverno può rivelarsi un periodo di grande divertimento e avventura, grazie alle numerose attività che si possono praticare in questa stagione.
Non per niente gli sport invernali sono sempre più popolari, supportati soprattutto dalla bellezza dei paesaggi innevati che ben si prestano a scatti suggestivi, nonché dall’impagabile sensazione di respirare aria fresca e pulita.
Ma quali sono le principali attività che si possono svolgere all’aria aperta in inverno?
Vediamole insieme!
SCI E SNOWBOARD
Per gli amanti delle piste e delle sfide, non possiamo non citare lo sci e lo snowboard, sport invernali molto diffusi, che offrono un’ottima opportunità per allenare i muscoli delle gambe, della schiena e dell’addome. Inoltre, grazie alle diverse difficoltà delle varie piste, è un’attività fisica che ben si adatta sia a persone esperte e allenate, sia a chi è alle prime armi.
PATTINAGGIO SUL GHIACCIO
Per i più romantici, le piste di pattinaggio sul ghiaccio sono il connubio perfetto tra un’attività fisica divertente e la location ideale per un appuntamento romantico. Anche in questo caso sono numerosi i benefici: oltre a un miglioramento della forza muscolare, dell’equilibrio e della coordinazione, pattinare sul ghiaccio in compagnia favorisce la socializzazione.
ESCURSIONISMO SULLA NEVE
Non da tutti, ma di certo ideale per i più avventurieri. L’escursionismo sulla neve richiede una buona preparazione fisica, ma offre allo stesso tempo l’opportunità di immergersi nella natura incontaminata, godere di paesaggi mozzafiato e mettere alla prova le proprie capacità fisiche e mentali.
SCIALPINISMO
Un’altra disciplina impegnativa, che prevede l’utilizzo degli sci per salire e scendere le montagne innevate. Anche in questo caso si tratta di un’attività adatta solo ai più allenati, ma che allo stesso tempo consente di esplorare luoghi incontaminati.
SLEDDOG
Uno sport invernale non molto diffuso in Italia, ma tipico dei paesi freddi, che prevede l’utilizzo di cani da slitta per esplorare i paesaggi innevati. È un’attività emozionante e adatta anche alle famiglie con bambini.
Queste sono solo alcune delle attività fisiche da svolgere all’aperto durante la stagione invernale, ognuna con diverse sfide e difficoltà, ma di certo tutte accomunate da diversi benefici, come il miglioramento della forza muscolare e della salute cardiovascolare, l’ottimizzazione dell’equilibrio, della coordinazione e della flessibilità.
Da non dimenticare poi i benefici per la salute mentale: la bellezza della natura e del contesto innevato riduce stress e ansia, favorendo lo sviluppo della concentrazione e stimolando la creatività e l’improvvisazione.
Possiamo affermare quindi che gli sport invernali sono un’ottima opportunità per staccare dalla routine quotidiana e rilassarsi immersi nella natura, mantenendosi in forma e in buona salute!
Quando corri una maratona, l’obiettivo non è superare gli altri, ma superare se stessi. Questo è quello che ha fatto Benedetto Roberto Ingoglia, imprenditore di Partanna in provincia di Trapani, fondatore di Energy Italy spa oggi a capo della Energy Holding, elogiato da molti per le proprie capacità professionali e valori personali.
Un imprenditore che ha fatto della corsa la sua passione, ponendosi un’ambiziosa sfida: partecipare alla grande Maratona di New York.
Obiettivo centrato in pieno, lo scorso 6 novembre.
È a lui che abbiamo il piacere di dedicare la nostra intervista di questo numero di Atlas Magazine.
M: “Roberto, raccontaci come nasce la tua passione per questo sport. C’è un episodio specifico che ti ha spinto a iniziare?”
RI: “Nell’ottobre del 2019, insieme ai miei Soci eravamo a Montecarlo a frequentare un bellissimo corso di formazione basato sulla crescita personale, al fine di migliorare le proprie performance professionali. Quel corso in un certo senso ha dato una svolta alla mia vita. In questa occasione, infatti, sono rimasto folgorato dal discorso di un relatore, che ha sottolineato quanto fosse importante mantenersi in forma e prendersi cura del proprio benessere, anche per aumentare la produttività e le prestazioni mentali. È stato in quel momento che ho preso la decisione di iniziare a prepararmi per la maratona di New York… e mi sono iscritto subito, prima ancora di iniziare la preparazione, tanta era la convinzione!
Poi a causa degli eventi pandemici, è stato possibile per me partecipare solo quest’anno.
Ciò ha giocato a mio favore perché ho avuto modo di recuperare i molteplici infortuni che inevitabilmente chi inizia una preparazione del genere a 57anni può subire e arrivare a partecipare all’edizione del 2022 in condizioni buone.”
M: “Come mai hai scelto proprio la Maratona di New York? Cosa ti affascinava di questa sfida?”
RI: “Perché è una delle più belle se non la più bella al mondo e ha una storia talmente affascinate che non può non attrarti. Basti pensare che è il frutto dell’intuizione e della scommessa di un gruppo di appassionati e di un uomo geniale, Fred Lebow, che ha dovuto combattere contro tutto e tutti, partendo da un percorso molto ridotto e con poco più di duemila partecipanti alla prima edizione.
Dopo qualche anno, è riuscito a ottenere come percorso tutti i 5 Borough di New York e a coinvolgere oltre cinquantamila partecipanti ogni anno. “ (qui potrete leggere la guida completa della maratona)
M: “Certo, una bella sfida da affrontare in così poco tempo, soprattutto se non hai mai corso prima! Immaginiamo non sia stato un percorso semplice. Quali sono state le difficoltà che hai riscontrato? C’è stato qualche momento in cui hai pensato di mollare?”
RI: Difficoltà tantissime, ma come dice qualcuno che mi conosce bene, la mia autostima è veramente alta! Basti pensare che ho preso questa decisione a 57 anni, non avendo mai svolto prima nessuna attività che potesse minimamente avvicinarsi alla preparazione fisica di podista.
Mollare mai, sono molto resiliente e anche dagli avvenimenti più negativi che mi sono accaduti nella vita o che potranno accadermi in futuro, traggo l’energia per andare avanti e alzare l’asticella dei miei obiettivi personali e professionali.”
M: E alla fine… il SUCCESSO! Ma come si suol dire: non è l’arrivo che conta, ma il viaggio. Quali erano le tue sensazioni prima e durante la maratona? A cosa pensavi in quei 42 lunghi km?”
RI: “Il successo era già essere ai blocchi di partenza. Le sensazioni pre gara sono quelle di un bambino: non vedi l’ora che arrivi il fatidico giorno. Durante la gara poi le sensazioni sono tante e tutte bellissime, perché per concludere una maratona oltre alle gambe serve anche la testa. Non per niente, si dice che una maratona va fatta 30 km con le gambe, 10 con la testa e 2,195 con il cuore.
Trovarsi in mezzo a 50 mila persone che non vedono l’ora di vincere le proprie sfide attraverso una manifestazione come la maratona di New York, ti fa sentire molto gratificato e aumenta molto la tua autostima.
A parte i top runner che gareggiano per vincere, il 99% dei partecipanti a una maratona del genere è lì per godersi il “viaggio”. 42,195 km vissuti come dentro un musical: per tutto il percorso ci sono band e spettacoli organizzati, insieme a un pubblico incredibile che ti sostiene e ti incita a ogni passo.
I pensieri che ti passano per la testa sono tanti, io ne ho focalizzati diversi per auto motivarmi.
Il primo pensiero alla partenza è che per 4,30h New York sarebbe stata ai miei piedi e questa era una sensazione bellissima.
Il secondo pensiero era una visione: ogni volta che qualcuno mi incitava, guardandolo, vedevo il volto di un familiare/amico, insomma di una persona conosciuta che mi vuole bene e che mi incoraggiava, questo succedeva ogni vota che accusavo qualche calo fisico, praticamente in tutte le salite, e a New York, credetemi sono davvero tante!
Invece, quando andavo bene e allungavo il passo segnando magari un record personale, pensavo a tutte quelle persone che all’inizio mi scoraggiavano e ridevo da solo immaginando l’espressione sul loro volto se mi avessero visto in quel momento.
Ecco, devo ringraziare molto queste persone perché mi hanno dato lo stimolo per fare di più e meglio.
Ma il pensiero più grande e più costante è sempre stato rivolto a mia moglie che per oltre 5 ore mi aspettava e mi ha aspettato al 41esimo km: non vedevo l’ora di abbracciarla!
Durante tutto il percorso ho immaginato la sua espressione, le sue parole, la sua gioia nel vedermi. E così è stato! Alla fine, è riuscita anche a sorprendermi con una bellissima sorpresa preparata precedentemente insieme alle mie figlie e a farmi emozionare.”
M: “Veniamo al futuro: ora che hai vinto questa sfida con te stesso, partecipando alla più importante e famosa Maratona al mondo, quali sono i tuoi obiettivi futuri?”
RI: “Divertirmi fino a quando le gambe reggono, ma farlo insieme a un gruppo di persone che vogliono sfidarsi e sfidare i propri limiti. Ecco perché ho già iniziato a pianificare le prossime maratone ma soprattutto ad aggregare nuove persone perché, anche se la maratona è uno sport individuale insieme agli altri ci si diverte di più e io amo divertirmi a far divertire le persone che mi circondano.”
M: “Grazie Roberto, solo un’ultima importante domanda. Come ci hai accennato sopra, diverse persone ti hanno accompagnato e sostenuto in questo percorso. Senti di voler ringraziare qualcuno in particolare?”
RI: “Questa è la domanda che più mi aspettavo perché le persone sono tante e tutte importanti, non potrei citarle tutte. Ringrazio tutti quelli che mi hanno dedicato un po’ del loro tempo per inviarmi un messaggio, complimentandosi per il risultato.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno sempre sostenuto, in particolare i miei “Alfieri” nella vita personale e professionale Nino, Fausto e Gino. Loro ancora non lo sanno, ma il prossimo anno vivremo insieme questa esperienza.
Sicuramente un grazie infinito va a Cristiano e a Daniela della Coster Medical Center, cari amici ma anche grandi professionisti ai quali devo la mia ripresa fisica dopo i vari infortuni.
Un grazie va a tutti gli associati dei Nati Stanchi Runners che mi hanno sempre incoraggiato anche quando non riuscivo a completare i 10 km, ai vari coach e alle persone che mi hanno dato anche un piccolo consiglio, ma in particolare al mio grande amico Elio Catania che sin dall’inizio mi ha seguito, accompagnato e preparato per tutte le manifestazioni a cui ho partecipato: le mezze maratone di Verona, di Roma, di Marsala, e la mia prima maratona di 42,195 Km a Milano.
A tutti i miei Soci, in particolare a Sergio, Francesco e Antonio, i quali mi hanno detto: “Vai “conquista” New York e torna con la medaglia!”.
E poi un GRAZIE va alle mie fantastiche figlie Margherita e Laura che continuamente mi stimolano, ognuna col proprio modo di fare, affinché io possa raggiungere i miei obbiettivi: vedere i loro volti o immaginarli quando non possono seguirmi fisicamente, per me è una grande gioia, è il giusto premio dopo una gara.
Ringrazio infine, ma non per ultimo, mia moglie che sa sempre come supportarmi e sopportarmi in tutte le mie scelte personali e professionali, averla e sentirla sempre al mio fianco per me è uno stimolo incredibile che mi aiuta a superare tutti gli ostacoli che inevitabilmente, chi fa qualcosa, incontra nel proprio percorso personale e professionale.
Lei sa sempre stupirmi, riesce con poco a trasmettermi quella forza e quell’energia necessaria per superare e vincere qualsiasi sfida che la vita può riservarmi.”
In apparenza sembra un cactus, ma in realtà è una pianta grassa perenne appartenente alla famiglia delle LILIACEE, come la cipolla, l’aglio, l’asparago, il giglio ed il tulipano. Spesso chiamata la “pianta del miracolo“ oppure il guaritore naturale, L’aloe vera è una pianta dalle infinite sorprese che predilige i climi caldi e secchi.
L’aloe è considerata la regina delle piante officinali ed è conosciuta fin dall’antichità in molte parti del mondo per le sue molteplici proprietà terapeutiche. L’aloe è una pianta grassa originaria dell’Africa centrale, ma l’habitat in cui cresce è molto vario: comprende infatti sia il bacino del Mediterraneo, sia i Paesi orientali come l’India, le isole dell’Oceano indiano, gli Stati Uniti e il Messico fino ad arrivare in Venezuela e in Oceania. La fama delle virtù terapeutiche dell’Aloe trova ampio riscontro in tutte le culture da epoche quasi preistoriche fino ai giorni nostri. L’Aloe Vera è stata sempre accompagnata da un alone di mito e leggenda, tanto che alcune delle più antiche civiltà la veneravano per le sue proprietà guaritrici. Esistono più di 250 varietà di aloe, ma solo una è riconosciuta a pieno titolo dalla comunità scientifica, questa è l’Aloe Vera Barbadensis Miller, in quanto la più ricca di vitamine, minerali, aminoacidi ed enzimi; è conosciuta comunemente come Aloe Vera.
Le proprietà curative
L‘aloe vera: è caratterizzata da foglie carnose, succulente e dal margine seghettato. Dal centro della pianta si sviluppa un fiore dalla forma tubulare, con steli lunghi, dal colore prevalentemente rosso. Dalle foglie dell’aloe è possibile ottenere due tipi di estratti, il succo condensato e il gel, che utilizzati come sostanze terapeutiche possiedono costituenti chimici, indicazioni e interazioni farmacologiche diverse fra loro. Il succo condensato è ottenuto prevalentemente dai tubuli esterni, situati al di sotto dell’epidermide della foglia. Avendo proprietà lassative si utilizza contro la stipsi atonica. Si prende un cucchiaio di succo lontano dai pasti per periodi brevi. La stessa posologia è indicata anche per chi vuole ottenere un effetto depurativo sull’intero organismo. Il gel fresco racchiuso nelle foglie carnose dell’aloe, se spalmato sulla pelle, cura infiammazioni, dermatiti, scottature , è un grande cicatrizzante, rende più rapida la guarigione delle ferite, ha un’azione schermante nei confronti dei raggi UV.
Il succo puro di aloe vera assunto per via interna:
Purifica l’apparato digerente;
Aiuta a rigenerare la crescita delle nuove cellule della pelle eliminando quelle morte;
Purifica tutto l’organismo;
Aiuta l’azione depurativa del fegato, dei reni e del sistema linfatico;
Stimola il sistema immunitario aumentando le difese dell’organismo;
Riequilibra il ph e la flora batterica gastrointestinale (utilissimo quindi in caso di gastrite, ulcera, colite, colon irritabile, gastropatie, malattie intestinali, patologie epatiche e biliari);
Ha proprietà antiossidanti, rigeneranti, idratanti e di anti-invecchiamento.
Il gel all’aloe vera per uso topico ha invece proprietà:
Antinfiammatorie;
Lenitive;
Calmanti;
Idratanti;
Anestetiche;
Rinfrescanti;
Cicatrizzanti (perfetto in caso di mani screpolate, foruncoli, eczemi, irritazioni della pelle e ustioni, scottature solari, punture di insetti, prurito, abrasioni e dermatiti e nei trattamenti pre-solari e doposole).
Milioni di persone usano l’aloe vera e ricevono questa straordinaria miscela bilanciata di ingredienti naturali e dichiarano un migliorato grande benessere.
È raccomandato prima di farne uso terapeutico un consulto con uno specialista del settore, in quanto, in particolare per quello che riguarda l’uso interno dell’aloe, se presa in dosi eccessive può provocare disturbi fisiologici più o meno gravi o modificare le funzioni naturali dell’organismo.
Per garantire un’ottimale condizione fisica e quindi di salute, mangiare bene è senz’altro di fondamentale importanza.
Tuttavia, la sola corretta alimentazione non è sufficiente: per restare sani e in forma è necessario anche tenersi in allenamento e svolgere periodicamente attività fisica.
In questo articolo cercheremo di entrare nel merito della questione, al fine di capire quanto tempo dedicare all’attività motoria, come allenarsi e quali sono i benefici di un allenamento costante.
QUANTO TEMPO DEDICARE ALL’ATTIVITÀ FISICA
Come già anticipato, l’importante è essere costanti! Definire quindi un piano di allenamento in base ai propri impegni e alle proprie esigenze, ma impegnarsi a seguirlo come si deve.
Un programma ideale prevede tre sedute di allenamento settimanali, della durata di 60 minuti ciascuno. Altra soluzione potrebbe essere quella dei 30 minuti al giorno di attività motoria, per un totale settimanale di 150 minuti (lun-ven).
Se però il tempo a disposizione non lo consente, possono essere sufficienti un paio di allenamenti a settimana della durata di un’ora ciascuno.
Insomma, a seconda dei ritmi che una persona ha, la prima cosa da fare è definire il tempo da dedicare all’attività fisica e creare una programmazione settimanale, segnando le sedute di allenamento sul proprio calendario personale, in modo da averlo proprio come impegno.
COME ALLENARSI
Una volta definito il tempo che possiamo dedicare all’attività fisica, cerchiamo di creare le condizioni ideali per la corretta attuazione del programma.
Per questo passaggio diventa importante affidarsi a persone di competenza, come i personal trainer, che potranno definire insieme a voi l’allenamento ideale, seguendovi al meglio ed evitando ogni rischio, soprattutto se soffrite di disturbi o dolori particolari.
Non riuscite o non volete andare in palestra? Nessun problema. Sempre più professionisti offrono ai propri clienti metodi alternativi per allenarsi fuori dai centri, predisponendo delle schede di esercizi da svolgere all’aperto, o addirittura attraverso sessioni di training online, che si possono seguire direttamente da casa!
I BENEFICI
Passiamo ora ai risultati…
Quali sono i “miracoli” derivanti da un allenamento costante?
Sicuramente i principali benefici riguardano lo stato di salute. Studi dimostrano che le persone più allenate riducono del 50% il rischio di contrarre malattie, anche gravi.
Nello specifico si potrà ottenere:
– MAGGIORE RESISTENZA ALLO SFORZO;
– RAFFORZAMENTO DI TENDINI E LEGAMENTI;
– MIGLIORAMENTO DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE;
– MIGLIORAMENTO DELL’APPARATO RESPIRATORIO;
– AUMENTO DELLE CAPACITÀ PROPRIOCETTIVE;
– MIGLIORAMENTO DELLA MEMORIA A BREVE TERMINE.
Altro aspetto non meno importante è quello relativo ai benefici a livello psicologico:
ci si diverte e di conseguenza aumentano autostima e buon umore.
E poi… non dimentichiamo che una buona attività fisica migliora anche il nostro aspetto, rendendoci più belli e visivamente più sani!
Anticamente alcune civiltà come gli Egizi e i Greci utilizzavano l’arte come mezzo per sperimentare la “catarsi”, ossia liberare le emozioni represse e sentirsi in equilibrio con il mondo circostante.
Nell’Inghilterra degli anni ’40 del Novecento, l’art-therapy inizia ad assumere una propria identità definendosi come relazione d’aiuto verso i reduci di guerra. Negli anni ’60 fu fondata la Scuola di Arte terapia con gli obiettivi di favorire lo sviluppo di questa nuova forma di cura; l’impulso provenne dal movimento dell’Antipsichiatria che combatteva le cure tradizionali in quanto violente e lesive della dignità della persona, rivendicando il valore terapeutico di tutte le forme di espressione.
Non a caso una prima forma di comunicazione pittorica e grafica è nata proprio nei luoghi della sofferenza nascosta, le carceri e i manicomi e con il passare degli anni i campi di applicazione dell’art-therapy si sono estesi nell’area dell’emarginazione sociale (tossicodipendenti, ammalati di Aids, malati oncologici, minori a rischio, affetti da Alzheimer).
Questa breve cronologia serve a farci comprendere come l’obiet- tivo dell’art-therapy sia stato, sin dalla sua nascita, sempre quello di permettere al paziente, attraverso l’attività creativa, di riela- borare esperienze drammatiche e di accedere al linguaggio del proprio io.
Lo scopritore dell’inconscio, Sigmund Freud, aveva colto nell’arte lo strumento privilegiato per conoscere ed esprimere il proprio vissuto: il prodotto artistico rappresenterebbe lo specchio del mondo interno del soggetto e la creazione artistica diventerebbe quindi materiale di interpretazione per l’analista. È tuttavia con la pedagogista-psicoterapeuta Edith Kramer che si può parlare di arte-terapia vera e propria: con le sue ricerche e osservazioni sposta l’attenzione dal prodotto artistico come materiale da interpretare, al processo creativo vero e proprio, ritenuto di per sé uno strumento di cura.
Verso la fine degli anni ’30 la Kramer insegnando arte ai figli dei profughi della Germania nazista, osservò gli effetti positivi dell’attività artistica su questi bambini segnati dalle ripetute violenze del regime; attraverso la creazione artistica il paziente si immerge in un’attività rilassante e piacevole che facilita la risoluzione dei propri conflitti, si mette alla prova, sviluppa un forte senso d’identità, “conosce se stesso”.
L’art-therapy include l’insieme delle tecniche e delle metodologie che utilizzano le attività artistiche visuali (e con un significato più ampio, anche musica, danza, teatro, marionette, costruzione e narrazione di storie e racconti…) come mezzi terapeutici, fina- lizzati al recupero ed alla crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relazionale. È dunque un intervento di aiuto e di sostegno a mediazione non-verbale attraverso l’uso dei materiali artistici e si fonda sul presupposto che il processo creativo messo in atto nel fare arte produce benessere, salute e migliora la qualità della vita.
Lasciando agli specialisti la trattazione dell’ argomento nei suoi risvolti curativi delle diverse e molteplici patologie, vogliamo qui soffermarci sui benefici nelle persone che si avvicinano ad essa in una società come la nostra che lascia davvero poco spazio alla creatività e all’introspezione, e che quindi può far nascere il bisogno di ristabilire un contatto più autentico con se stessi e con gli altri. Attraverso l’atto creativo possiamo esprimere tutte le nostre emozioni, scoprire i nostri aspetti più intimi, affrontare i nostri conflitti, metterci alla prova sperimentando abilità di cui ignoravamo di essere in possesso e, quindi, conoscere le nostre attitudini e incrementare l’autostima affermando la nostra identità.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio processo di crescita se consideriamo che l’arte-terapia permette all’adulto di riscoprire il proprio “io bambino”; riscopre la magia del gioco in quanto si è completamente immersi nel piacere del fare artistico e tale coinvolgimento è divertente e rilassante al tempo stesso. Creare significa re-imparare a scegliere soluzioni sempre nuove, esatta- mente come avviene nel gioco infantile e uscire dagli schemati- smi a cui il “mondo dei grandi” ci ha abituati.
Fare arte-terapia significa riscoprire il cosiddetto pensiero ana- logico, quello che presiede all’immaginazione, alle emozioni e all’intuizione; significa renderci delle persone più complete, ca- paci di cercare modalità sempre nuove di guardare ed operare sulla realtà.
L’uso di determinati colori e tonalità, la predilezione di alcuni se- gni e tratti piuttosto che di altri, il ricorso ricorrente a specifiche immagini … possono essere indicativi, simboleggiare appunto, un nostro stato d’animo.
Modellare l’argilla, per esempio, è un’attività rilassante ma, contemporaneamente, richiede riflessione. Nel modellaggio, infatti, bisogna trovare un certo equilibrio per la forma che si vuole andare a creare; un’attività di questo tipo, quindi, potrebbe essere indicata per persone irrequiete, desiderose di trovare stabilità. Anche l’esperienza col colore può essere utile per curare diversi tipi di disagi. Una persona inquieta, per esempio, potrebbe trarre giovamento dalla pittura con le velature che consiste nel dipingere su una superficie asciutta e nell’applicare sottili e tenui strati di colore, che si asciugano tra un’applicazione e l’altra; si tratta di un processo molto lento che porta la persona a rilassarsi. Viceversa, dipingere acquarelli richiede una certa velocità nell’esecuzione; questo tipo di tecnica, di conseguenza, potrebbe essere utile per persone in cui si vuole stimolare la spontaneità e la fantasia. Attraverso l’espressione artistica facilitata è possibile incrementare la consapevolezza di sé, fronteggiare situazioni di difficoltà e stress, esperienze traumatiche, migliorare le abilità cognitive e godere del piacere che la creatività artistica porta con sé. “Attraverso l’arte-terapia si ha la possibilità di attivare risorse che tutti possediamo: la capacità di elaborare il proprio vissuto, dandogli una forma, e di trasmetterlo creativamente agli altri. Si tratta di un processo educativo, dove “educare” sta per educere, “portare fuori”: far emergere la consapevolezza ed una maggior conoscenza di sé mediante la pratica espressiva, l’osservazione ed il confronto.
Da sinistra a destra: Sergio Grifoni, Benedetto Roberto Ingoglia e Francesco Briguglio.
Benedetto Roberto Ingoglia, imprenditore di Partanna in Provincia di Trapani, dopo 10 anni di guida dell’azienda Energy Italy Spa passa il testimone a Sergio Grifoni. Il nuovo Presidente è uno spoletino doc che dal cuore verde dell’Umbria è riuscito ad estendere la propria azione operativa in tutto il territorio italiano, operando nell’emergente settore delle energie rinnovabili. Un precedente impegno dirigenziale nel mondo della cooperazione e nel comparto assicurativo, accompagnato da quello politico e, soprattutto, da quello sociale e del volontariato, hanno certamente contribuito alla sua formazione umana e professionale, portandolo ad ottenere risultati imprenditoriali di tutto rispetto. Oggi, infatti, lo ritroviamo presidente di Energy Italy Spa, una solida società per azioni che abbraccia l’intero panorama delle rinnovabili a livello nazionale potendo contare su unità operative strutturali in tutto il paese. L’ultima di queste è proprio nella sua Spoleto, zona strategica per tutte le regioni dell’Italia centrale.
Quali motivazioni l’hanno spinta a lasciare un posto dirigenziale nella Confcooperative, sicuro e ben remunerato, per approdare ad un impegno, quale quello assicurativo, tutto da costruire?
Il desiderio ed il fascino di rimettermi in discussione. Ma ero cosciente che ciò sarebbe avvenuto solo se avessi avuto il coraggio di superare le comode abitudini e trasformare la sicurezza economica, data dallo stipendio mensile, in una difficile sfida, che poggiava la prima gamba sulle incognite del futuro e la seconda sulle certezze della mia determinazione. Sia ben chiaro, non rinnego nulla della mia esperienza nell’ambito della Confcooperative perché, soprattutto da direttore provinciale, mi ha dato la possibilità di maturare professionalmente ed inserirmi in quegli ambienti sociali, politici ed economici, che alla fine contano. Sentivo però che tutto intorno mi stava stretto. Con la forza dell’ambizione controllata e del rischio calcolato, mi licenziai, decidendo così di bruciare la barca che mi stava facendo approdare sulla terra di un domani, tutta da scoprire e da conquistare. E vi assicuro che fu una scelta coraggiosa sì, ma non superficiale ed irresponsabile, perché sapevo già cosa volevo e, soprattutto, dove volevo arrivare. Non mi sedusse tanto la mansione di partenza, cioè quella del ramo assicurativo legato al risparmio, quanto quella di possibile traguardo, ovvero la possibilità di gestire risorse umane. Ho vissuto delusioni e soddisfazioni, sconfitte e successi, stasi e progressi, ma ogni mio passo aveva lo sguardo rivolto sempre all’obiettivo finale. Ho accettato per anni il consiglio di formarmi adeguatamente, per poter poi formare e far crescere le persone intorno a me, forte dell’insegnamento di un illuminato preside che ebbi al Liceo, che amava ripetere il concetto per cui non si potrà mai saper comandare se non si sa ubbidire.
Come è avvenuto poi il suo ingresso nel mondo delle rinnovabili e quali ragioni l’hanno spinta a cambiare nuovamente rotta? Le ragioni del successivo cambiamento sono quelle anzidette, sempre legate al mio desiderio di scoprire cose nuove e misurarmi. Nel caso specifico devo aggiungere che la spinta decisiva affinché decidessi favorevolmente è merito della persona che mi propose l’opportunità professionale: Roberto Ingoglia. Conoscevo già Roberto, perché era uno dei soci fondatori della società ove stavo operando, un amministratore ed un imprenditore unanimemente apprezzato per le sue capacità gestionali, la sua correttezza e la sua affidabilità, dimostrata sempre negli anni. A consolidare la certezza c’era poi il comparto ove avremmo operato: quello delle rinnovabili, un mondo innovativo tutto da espugnare. Iniziai quindi entusiasta questa nuova avventura, insieme a lui e a Francesco Briguglio, un collega messinese che, come me, stava sempre con un piede all’arrivo e l’altro sui blocchi di partenza. Mi ritrovai così in mezzo a due siciliani puro sangue, che della loro magnifica terra si portavano dietro i valori più sani e la grinta giusta per fare la differenza. Parlare di rinnovabili dodici anni fa era veramente dura, perché il sole ed il vento erano ancora visti come elementi atmosferici, più che opportunità di risparmio energetico. Pian piano poi i dubbi della gente sono diventati certezze e le mere conoscenze si sono trasformate in consapevolezza.
L’escalation aziendale è stata però velocissima. Quali sono stati i punti di forza che vi hanno portato a crescere in maniera esponenziale? Certamente la capacità di non cavalcare mai l’onda del momento, ma cercare di provocarne sempre una nuova. Mi spiego. Quando abbiamo iniziato, se parlavi di business nel fotovoltaico ti venivano subito in mente i grossi impianti installati in mezzo ai cam- pi, portatori di cospicue sovvenzioni statali. Sarebbe stato gioco forza incominciare da lì. Ci siamo invece subito indirizzati sui piccoli impianti fotovoltaici, quelli cioè al servizio delle famiglie, certi che quello sarebbe stato il futuro, nonché sul mini eolico. Ed abbiamo insistito anche quando tali sovvenzioni sono sparite, educando i nostri consulenti e di riflesso i clienti sul principio che il vero incentivo sarebbe stato il risparmio nei consumi. Non abbiamo mai fatto un passo più lungo della gamba, ma abbiamo solo generato più gambe. I primi anni sono stati quelli del “guardarsi intorno”, per cogliere ogni utile opportunità strategica ed analizzare ogni piccola sfumatura legata alle variabilità economiche del settore. Ricordo i tanti giorni impegnati ad elaborare proposte concrete e competitive; i tanti viaggi lungo tutto lo Stivale ed anche all’estero, soprattutto da parte di Roberto Ingoglia, per verificare possibili nuove fette di mercato o reperire la materia prima a condizioni vantaggiose. Ricordo le tante rivisitazioni delle strategie commerciali, necessarie per adeguarci ai mutamenti in atto ed utili per guidare e stimolare al meglio la rete vendita che, giorno dopo giorno, cresceva in maniera esponenziale. Abbiamo sempre cercato di abbinare alla necessaria attività imprenditoriale una ricavata valenza sociale legata alla salvaguardia dell’ambiente, arrivando addirittura ad organizzare dei concorsi scolastici per gli studenti di un Istituto siciliano. In quell’occasione ebbi anche la possibilità di visitare Partanna il paese natio di Roberto Ingoglia.
Solo le giuste strategie commerciali e l’oculatezza imprenditoriale sono stati i vostri punti di forza? Non solo questo. Ci sono ancora due caratteristiche che si sono rivelate vincenti. La prima è stata la formazione, che da sempre ha rappresentato le fondamenta delle nostre azioni e di quelle dei nostri collaboratori. Quando parlo di preparazione, non mi riferisco solo a quella legata alle tecniche commerciali, che cammina sui binari della logica e della razionalità. Noi abbiamo puntato moltissimo sulla formazione attitudinale, utile per la crescita professionale e personale. Ogni nostro consulente sa che, per poter diventare un manager Energy e fare carriera, non è importante saper vendere il prodotto, ma è fondamentale saper vendere se stessi e saper poi guidare gli altri su tali principi. La seconda caratteristica è sul coinvolgimento emotivo e fattivo dei nostri collaboratori. Ogni scelta operata dal board aziendale non è stata mai imposta, ma sempre condivisa a priori con co- loro che avrebbero dovuto poi attuarla, ovviamente nel rispetto dei ruoli e delle responsabilità ad ognuno spettanti. Ogni azione messa in atto in Energy Italy si basa sul rispetto di filosofie comportamentali oggettive e meritocratiche, utili ad indicarti sempre la strada giusta per arrivare al traguardo. Ogni nostro consulente sa che potrà ambire a qualsiasi livello di responsabilità nell’ambito aziendale. Non a caso molti collaboratori sono soci nella SpA e qualcuno è diventato addirittura presidente o amministratore di società della holding.
E poi è arrivata la presidenza.
Si, un bel traguardo, che nel Consiglio condivido con due giovani donne: Margherita e Laura che, insieme ad altri emergenti amministratori, rappresentano il futuro dell’Azienda. Anche per questo devo ringraziare gli amici del board, soprattutto per avermi riservato un prestigioso epilogo professionale. L’evoluzione delle nostre molteplici attività, unitamente all’arrivo delle agevolazioni legate al Superbonus 110%, hanno consentito di dar vita a più società. Queste, insieme a quelle già esistenti, hanno generato la Holding Energy Italy, alla cui guida è stato chiamato proprio Roberto Ingoglia, fattore questo che, oltre a garantire continuità strategica, personalmente mi rassicura e conforta. Tanto abbiamo fatto, ma molto di più sarà quello che dovremo fare. Iniziando proprio dalle soluzioni che stiamo offrendo per trovare riparo ai costi esorbitanti della luce e del gas, che stanno met- tendo in ginocchio famiglie ed aziende. E lo faremo con spirito imprenditoriale sì, ma sentendolo come compito sociale. Perché, lo voglio rimarcare con forza, Energy Italy pensa con la testa ma agisce con il cuore.
Parlare di sostenibilità vuol dire spesso e volentieri dare un cambiamento alle proprie abitudini: mangiare in maniera sana e alimenti con poco impatto di CO2, prendere la macchina quando effettivamente ha senso, riciclare i rifiuti in maniera regolare e corretta. Piccoli passi che guidano tutti verso un futuro più sereno per le generazioni future.
Ma, effettivamente, gli aspetti della nostra vita sono fatti soprat- tutto di grandi eventi, non per forza di valore nazionale: serate con gli amici, partite, cerimonie e potrei andare avanti per molte righe.
Ogni occasione speciale fa parte della nostra vita quotidiana inevitabilmente e porta strascichi di sé stessa anche dopo l’evento, sia nei buoni aspetti che nei negativi purtroppo. Come, è difficile da definire perché dipende ovviamente da molti fattori ma principalmente stiamo parlando di piatti e bicchieri monouso in plastica, sigarette e altri prodotti consumabili che una volta utilizzati devono essere in grado di riciclare, dare nuova vita.
Come consapevolizzare questo aspetto così grande e importante delle nostre vite? Per rispondere a questa domanda è stata creata per gli eventi e la sostenibilità degli stessi la figura del Green Event Manager.
DI CHE SI TRATTA?
La figura del GEM si rivolge al professionista che nel presente prepara gli eventi futuri, ossia avere come missione quella di studiare e pianificare nei migliori dei modi la riduzione dell’impatto umano su un determinato appuntamento importante. Cosa significa? Usare nuove tecnologie, nuove strategie, guardare appunto al futuro di quello che sono oggi gli eventi. Uno dei migliori a rappresentare al meglio questa nuova specializzazione è Roberto Carnevali.
CHI È?
Da sempre Carnevali è fortemente interessato alle tematiche am- bientali, e da diversi anni ha scelto di investire la propria profes- sionalità anche nel settore green, fondando insieme a Romano Ugolini la società Benefit “Ambiente e Salute”, e in collabora- zione con Legambiente ha dato vita anche alla certificazione “Ecoevents”.
E quale migliore rappresentazione di evento regolare e popola- to, in grado di dare un forte segnale della sostenibilità in grandi occasioni, se non durante i match sportivi? Carnevali infatti riba- disce proprio questo concetto dove sport e ambiente rappre- sentano un binomio indissolubile.
DI CHE SI TRATTA?
Da oltre 30 anni si occupa dell’organizzazione di eventi di alto livello, anche internazionali, e ha scelto di puntare sulla Certificazione Ecoevents con l’obiettivo di affiancare e certificare chi intende adottare criteri di salvaguardia ambientale e pratiche di efficientamento nell’organizzazione dei propri eventi. Un evento, in particolare quelli di grandi dimensioni, ha un impatto ambientale importante tra organizzazione, allestimento e logistica, e poi la concentrazione di migliaia di persone nello stesso luogo, la gestione dei rifiuti che producono e molti altri aspetti.
Gli eventi ecosostenibili rappresentano una delle sfide per la lotta al cambiamento climatico. Essere sostenibili significa pensare al domani, oggi. Significa adottare uno stile di vita attento e consapevole nei confronti di sé stessi e di chi ci circonda, avendo cura di ciò che tutti abbiamo in comune. Si sente soprattutto molto vicino ai giovani che in tutto il mondo fanno sentire la loro voce chiedendo di condividere con loro questo grande impegno e accettare le sfide anche quando sono difficili.
Muovere il sentimento del mondo dello sport significherebbe dunque poter dare finalmente la spinta morale al pubblico più ampio, dalle generazioni attuali, fino a quelle più giovani che avranno in mano l’educazione ambientale del futuro.
Quando ha ideato questi progetti, Carnevali assieme al suo staff ha avuto la splendida opportunità di poter collaborare con Legambiente e di interagire con i suoi 1000 circoli e 18 sedi regionali. Un’esperienza fondamentale perché ha permesso di toccare con mano quante persone condividono con entusiasmo e grandissimo impegno gli stessi obiettivi. Ambiente e Salute è una società Benefit, il cui obiettivo è suppor- tare tutti coloro che vogliono intraprendere un percorso fondato sulla sostenibilità e comunicare questo impegno. Il marchio Ecoevents poi, ha l’obiettivo di rendere sostenibili gli eventi fino a poterli certificare “Eco Certified Events”, e ha trovato subito un grandissimo interesse. Del resto, compiere azioni a favore dell’ambiente, oggi più che mai porta un grande valore aggiunto a chi lo fa.
Per guidare chi vuole cimentarsi in maniera seria e concreta c’è chi ha creato un vero a proprio manuale per intraprendere questo percorso professionale. Stiamo parlando de il libro “L’evento che fa bene al pianeta”, che ha scritto con Romano Ugolini. Si tratta di una sorta di “manuale”, semplice e diretto, che dà consigli pratici su cosa bisogna fare per organizzare un evento green, ecocompatibile, che gli conferisce un forte va- lore aggiunto. All’interno ci saranno la raccolta dei concetti e delle indicazioni di moltissimi esperti del settore, che condivideranno la loro lunga esperienza da organizzatori di eventi.
Siamo convinti che solo se ognuno di noi partecipa con azioni volte a educarci per costruire il futuro si potrà vincere la lotta al cambiamento climatico.
Quante volte ci chiedono come stiamo. Quali risposte si forniscono tout court, ovvero senza riflettere sui contenuti delle stesse? “Bene, grazie”; “Non c’è male”; “Tutto OK”; “Non lamentiamoci”, e così via. Risposte spesso e volentieri frutto di cortesia comportamentale, di luoghi comuni, di abitudini assiomatiche. Sarebbe difficoltoso e dispendioso scernere nella risposta i vari stati di benessere psico fisico. Complicato cioè affermare che si stainteriormente in equilibrio, però si ha dolore alla caviglia, si vive in armonia con la professione ma la famiglia lascia a desiderare. Velocemente quindi, per interesse o convenienza, si risponde con parole riassuntive e consolidate. Tanto si sa che, chi ascolta, già conosce in qualche modo la risposta. Questo sistema di uniformità lessicale, adoperato per esprimere concetti sullo status personale, interessa anche altri campi di azione, di impianto sociale, di istituzione economica, di criteri selettivi dell’idioma comune. Facevo questa riflessione mentre ascoltavo un medico amico, appassionato, e convinto assertore, dell’omeopatia, una disciplina che nella sua sola parola, racchiude l’unione indivisibile fra psi- che e corpo. Ed allora: conosciamola meglio. Dal punto di vista etimologico, la parola Omeopatia deriva dal greco “Homoios” che significa “Simile” e da “Phatos” che significa “Sofferenza”.
È una medicina a tutti gli effetti, che basa le sue ragioni nella scienza cosiddetta olistica, intesa cioè come paradigma interpretativo o, come il mio amico medico afferma, una pseudoscienza, poiché non applica rigorosamente il metodo scientifico.
Quali possono essere pertanto le differenze fra la medicina tradizionale e quella omeopatica? I sostenitori della seconda, asseriscono che tale sistema curativo cerca di ristabilire il giusto equilibrio all’interno dell’organismo, stimolando, con particolari sostanze, reazioni di difesa.
La medicina tradizionale invece, sempre per costoro, tende a far sparire i sintomi della malattia. L’omeopatia è intesa come cura clinica basata sulla legge dei cosiddetti “simili”, ovvero: stimolo per provocare reazioni di difesa. Hahnemann, fondatore di tale medicina, non ha fatto altro che approfondire ed interpretare gli studi a suo tempo esperiti da Cullen.
Cosa aveva mai fatto questo farmacologo scozzese? Aveva studiato gli effetti provocati sui raccoglitori dalla corteccia di china e di altre sostanze. La maggior parte di loro infatti, si ammalava regolarmente, presentando evidenti sintomi di malaria, con febbre e brividi. Cullen allora iniziò a sperimentare su se stesso la reazione provocata da tali sostanze, scoprendo che le stesse, in lui che era sano, provocavano una serie di sintomi caratteristici della malattia. Utilizzate invece su di una persona malata, induceva una reazione di difesa nell’organismo che ne determinava la guarigione. Questa cura quindi si concentra sull’uso mirato dei rimedi atti
a provocare, nell’organismo malato, quelle reazioni capaci, non solo di far sparire il sintomo, ma soprattutto di ristabilire nell’organismo il giusto equilibrio psico-fisico. Molière, in una scena del terzo atto del “Malato Immaginario”, faceva dire ad un personaggio scenico: “Quasi tutti gli uomini muoiono a causa dei loro rimedi e non per le loro malattie”.
Non è che basta salire sul palcoscenico per avere ragione, ma questo concetto sta molto a cuore ai fautori dell’omeopatia: com- preso il mio amico. Altra caratteristica di questo sistema curativo, è che gran parte dei rimedi dallo stesso previsti, sono composti da piante. Quali analogie allora possiamo trovare fra questa branca della medi- cina e quella tradizionale o “Allopatica”? Entrambe prevedono la somministrazione in piccole dosi di sostanze che provocano la malattia per combattere la stessa.
Conferma di ciò, sta per esempio nei composti dei vaccini, tanto di moda in questo periodo, o nelle iniezioni antiallergiche. Altra possibile similitudine è la cosiddetta “Dose appropriata”e il concetto di medicina che provochi gli stessi sintomi che deve curare.
Come però lo stesso Hahnemann ha sempre ribadito, i due metodi, omeopatico e allopatico, pur avendo minimi punti in comune, non possono essere avvicinabili o abbinabili. Se quindi è vero, come è vero, che l’omeopatia ha alle spalle un profondo sistema filosofico, le sue radici si immergono nella fisiologia energetica cinese, che studia il rapporto fra la dimensione spirituale e quella biologica dell’essere umano. Asserisce infatti che l’essere umano è percorso da una fitta rete di flussi energetici. La famosa interazione fra le due polarità denominate YIN e YANG, per le quali tutte le cose sono considerate come parte di un intero. A tal proposito il conosciuto Ippocrate affermava che: “L’uomo è parte inscindibile del cosmo e quindi sottoposto alle sue leggi”. Tale personaggio, vissuto fra il 450 e il 400 a.c., nell’isola greca di Cos, era figlio di un medico e considerato come il fondatore della scienza medica. Diede un metodo scientifico e tecnico ad una pratica esclusiva- mente empirica. Individuò infatti i vari passaggi necessari nella cura di un individuò: l’anamnesi (ricordo), la diagnosi (conoscenza) e la prognosi (previsione).
Inventò praticamente la cartella clinica. Famoso poi il giuramento medico che porta il suo nome, con il quale vengono enunciati quelli che sono i principi fondamentali ed etici che deve seguire chi esercita tale professione, ovvero: impegnarsi per il bene del malato, rispettarlo come persona, man- tenendo il segreto professionale. È suo anche il detto del fare, saper fare e far sapere. Molti oggi lo travisano, facendo sapere senza fare o, quando va meglio, facendo senza sapere. Detto fra noi, anche questa è una fisiologia energetica: è l’unico caso in cui mi auguro che non sia rinnovabile!
Anche per questo nuovo numero siamo riusciti a intervista- re un nuovo ospite, capace di inserire nelle nostre menti nuove strategie per sostenibilità ambientale, auto sostentamento e serenità.
Stiamo parlando di Hexagro, start-up nata nel 2015, che ha come principale obiettivo quello di poter procurare per tutti e dovunque il cibo necessario, con il fine di ridurre la fame nel mondo e per incentivare una sostenibilità ambientale con una coltivazione intelligente o meglio, smart. Ce ne ha parlato Claudia Tarantola, responsabile PR e Comunicazione della azienda, descrivendoci non solo tutte le caratteristiche che rendono unica Hexagro ma anche rispondendo a tutte le nostre curiosità sulla tecnologia utilizzata, i progetti sociali e cosa ci potrebbe essere in serbo per il futuro dell’alimentazione.
L: “Ciao Claudia, un piacere poterti intervistare a nome di Hexagro. Partiamo dalle basi: com’è nata e perché il nome Hexagro?”
C: “Ciao Leonardo, il piacere è tutto mio poter dar ancora più voce alla nostra azienda tramite Atlas Magazine! Allora, Hexagro nasce dalla tesi di laurea di Felipe Hernandez, co-founder e CEO, sull’agricoltura rigenerativa e sulle tecnologie agricole prive di pesticidi. Il nome Hexagro deriva dalla combinazione di due parole: esagono e agricoltura. L’esagono è la forma più efficiente in natura, è compatta e versatile. Agricoltura, verticale, automatizzata e sostenibile.”
L: “Fantastico! Effettivamente è un aspetto che spesso non si considera, sia per la forma versatile dell’esagono, sia per il tema della coltivazione intelligente e sostenibile. Vorrei infatti approfondire questo secondo tema: come vi approcciate tecnicamente alla sostenibilità equali sono i prodotti di punta con cui lo fate?”
C: “Hexagro è tra le primissime Società Benefit in Italia: ciò sottolinea ancora una volta l’importante focus dello sviluppo di tecnologie e prodotti che non solo guardano alla generazione di un business sostenibile, ma soprattutto al beneficio di persone, pianeta e società. Grazie alla modularità del design, ogni componente può essere sostituito o aggiornato e quindi garantire un ciclo di vita del prodotto duraturo. Il modello hardware-as-a-service garantisce inoltre di riciclare e riutilizzare tutti i materiali utilizzati nelle operazioni.”
L: “Questa necessità è nata dal trend sostenibile oppure c’è anche una spinta dovuta alla società in cui viviamo ogni giorno?”
C: “Certamente, la sostenibilità sia ambientale che della sostentazione della fame nel mondo sono due ottimi motivi e obiettivi ma non sono gli unici. Esiste anche una natura sociale della nostra mission, ossia quella di riconnettersi con la Natura che ci circonda. Abbiamo riconosciuto un problema nei contesti urbani: chi vive nelle aree urbane trascorre il 90% delle vite in ambienti chiusi, completamente disconnesso dalla natura. Il danno dell’isolamento dagli ambienti naturali è attestato da molte ricerche scientifiche, così come il potere curativo e riparatore della natura per la vita umana. Interagire con la natura aumenta il benessere, migliora la produttività e crea luoghi salubri per la mente ed il corpo in cui vivere e lavorare.”
L: “Hexagro, quindi, come arriva a toccare questi punti cruciali della vita di ognuno di noi?” C: “La nostra azienda utilizza tecnologie all’avanguardia per poter dar vita a nuovi metodi di coltivazione, portando Hexagro su un livello nuovo e coinvolgente.
Un esempio e nostro prodotto principale è il Living Farming Tree. Il Living Farming Tree è un sistema di coltivazione verticale ispirato ai principi del design biofilico. Si distingue dai tradizionali sistemi di agricoltura verticale per l’uso della tecnologia aeroponica (senza suolo e con minor consumo d’acqua) e per essere un orto indoor IoT completamente automatizzato.
Ciò consente agli utenti di interagire in modo semplice e divertente con il Living Farming Tree attraverso un’applicazione gami- ficata che li guida verso un raccolto di successo. Il Living Farming Tree ha un design completamente scalabile e modulare e può adattarsi perfettamente alla configurazione di qualsiasi ambiente interno, anche grazie alle sue finiture perso- nalizzabili.“
L: “Un’installazione davvero incredibile Claudia, ma dove potremmo vivere una tecnologia simile?”
C: “Il Living Farming Tree è pensato per essere installato in uffici e spazi commerciali, con l’obiettivo di riconnettere dipendenti e visitatori alla natura attraverso un’esperienza di urban farming coinvolgente e insolita. Il sistema viene offerto a servizio e pro- prio come un distributore automatico, il Living Farming Tree riesce a crescere fino a 90 piante in meno di tre settimane, che vengono poi messe a disposizione degli utenti per il consumo in loco o take-away. Ogni mese, i tecnici manutentori di Hexagro forniscono poi nuove piantine da coltivare e provvedono alla ma- nutenzione dei sistemi.
Dal 2018 a oggi, Hexagro ha installato oltre 20 sistemi in nord Italia e Europa con l’obiettivo di migliorare il benessere dei dipen- denti attraverso piante edibili, e il 2021 ha visto anche la prima installazione di 5 sistemi in un centro commerciale, a Rescaldina, per creare uno spazio verde e interattivo. Tra le aziende che hanno scelto Hexagro e i Living Farming Tree: DGTech, Valuement, Ceetrus – Nhood, Cariplo Factory, Novotel, Raiffeisen Bank.”
L: “Ci potresti parlare meglio della tecnologia all’interno del Living Farming Tree?” C: “Certamente, abbiamo diverse definizioni all’interno della nostra azienda e i nostri prodotti:
• Tecnologia esponenziale
I nostri processi si basano su tecnologie esponenziali, ciò significa tecnologie che raddoppiano in potenza o velocità di elaborazione ogni anno, mentre i loro costi si dimezzano, come Intelligenza Artificiale, Stampa 3D e Internet of Things.
• Aeroponica
Le nostre piante sono coltivate con l’uso della tecnologia aeroponica; quindi, senza l’uso del suolo e l’uso limitato di acqua. Le piante sono sospese artificialmente nei moduli del Living Farming Tree e le loro radici pendono nel contenitore sottostante. Acqua e sostanze nutritive vengono spruzzate direttamente sulle radici, il che consente uno spreco minimo di risorse e un assorbimento ottimale di acqua e sostanze nutritive. Per questo motivo, le piante possono crescere fino a 3/5 volte più velocemente delle coltivazioni tradizionali. Il dosaggio dell’acqua e l’intensità delle luci sono controllati da un sistema IoT. Ciò significa che il sistema è completamente automatizzato e progettato per ottimizzare la crescita delle piante.
• Fertirrigazione
Il metodo di fertirrigazione automatizzato di Poty è un’irrigazione a bassa pressione che alimenta le piante con gocce di micronutrienti per fornire gli elementi necessari per una crescita efficien-te e sana. L’acqua ricircola nel contenitore dei nutrienti e consente di risparmiare il 60% in più di acqua rispetto ai metodi basati sul suolo.
• Software
Grazie all’IoT e ai sensori collegati siamo in grado di monitorare e controllare ogni parametro agricolo da remoto. Inoltre, raccogliamo dati su piante, persone e luoghi per costruire un’intelligenza artificiale avanzata per fornire agli utenti l’esperienza di urban farming più coinvolgente di sempre.”
L: “Quello che è più affascinante in tutto questo, credo fortemente sia anche la componente estetica, di design del prodotto. Com’è stata stato studiato questo impor- tante aspetto?”
C: “Siamo fermamente convinti che seguire il modello della Natura possa essere di grande beneficio tutti noi: questo metodo di innovazione si chiama biomimesi. È, in sostanza, un metodo alternativo all’innovazione in cui il primo passo è capire come la natura abbia già sviluppato soluzioni simili alla sfida progettuale o ingegneristica incontrata e quindi applicare tale conoscenza sul nuovo prodotto o modello di business.
Seguiamo anche l’approccio biofilico, in base al quale gli esseri umani hanno un legame forte e innato con la natura, sia biologi- co che emotivo. È stato dimostrato che gli elementi naturali riducono lo stress e supportano emozioni e umori positivi.
Il design biofilico è nato per portare un nuovo modo di progettare e pensare i luoghi in cui viviamo, lavoriamo e siamo educati, al fine di riconnettere le persone al mondo naturale attraverso l’uso di materiali ed elementi architettonici che richiamano la natura attraverso i cinque sensi. I vantaggi sono evidenti: aumentano le capacità cognitive, la cre- atività e le prestazioni lavorative, nonché la felicità e l’umore.”
L: “Senza dimenticare ovviamente la variabile sociale quindi, dove si porta il prodotto Hexagro nelle culture più in difficoltà. In che progetti siete coinvolti al momen– to?”
C: “In Hexagro la nostra mission è consentire a chiunque, ovunque, di poter accedere a cibi sani. Per arrivarci, un passo importante da fare è aumentare l’accessibilità delle tecnologie di agricoltura verticale anche nei paesi meno sviluppati.
L’agricoltura verticale può diventare una soluzione di grande impatto, ma attualmente queste tecnologie non sono accessibili agli agricoltori che non sono in grado di coprire i costi di avvio di tali operazioni e infrastrutture ad alta tecnologia.
Hexagro – Siembra Vertical Social, è il brand di Hexagro al quale trasferiamo know-how tecnico, dati e tecnologie per supportare le comunità locali in contesti in cui le conseguenze del riscaldamento globale, del degrado del suolo e dell’urbanizzazione stan- no colpendo maggiormente gli agricoltori.”
Insomma, Hexagro si presenta come un’altra realtà innovativa e dinamica del panorama sostenibile italiano, in grado di fornire soluzioni ai problemi di oggi. Questo però non è limitato al solo problema della sostenibilità ma anche al problema sociale. Hexagro è stata premiata per questo con molteplici premi, ma non finirà di sorprenderci perché mira a diventare un leader globale nel mondo dell’agricoltura verticale, con una rete decentralizzata in cui le persone possano coltivare il proprio cibo preferito o semplicemente accedere alle opzioni più salutari per loro stessi. Si vuole portare la natura e il cibo in qualsiasi spazio, rendendo le nostre città più sostenibili e resilienti, consentendo a chiunque, ovunque, di accedere a cibi sani.