A poco più di un anno dall’individuazione del paziente zero in Italia, la campagna vaccinale sta proseguendo a pieno ritmo anche nel nostro Paese. Dopo il turno degli operatori socio – sanitari, è ora giunto il momento degli over 80, per poi raggiungere, a scalare, le altre fasce di età.
Come ben noto, in Italia non c’è l’obbligo di vaccinarsi: secondo alcuni costituzionalisti, il vaccino potrebbe essere reso obbligatorio solo attraverso una legge approvata dal Parlamento. L’art. 32 Cost. infatti, prevede che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
La mancanza di una legge che, attualmente, imponga l’obbligo di vaccinarsi pone il problema consequenziale di come debbano essere trattati i soggetti che rifiutano il vaccino. Problema che, a ben vedere, appare ancora più sentito in ambiente lavorativo.
Si pensi, ad esempio, ad un lavoratore dipendente che rifiuti di sottoporsi al vaccino: cosa può fare il datore di lavoro?
In mancanza di una legge ad hoc, in linea anche con i principi costituzionali, nessun datore di lavoro potrebbe in Italia obbligare un dipendente alla vaccinazione anti covid. Ciò posto, l’azienda potrebbe, però, decidere di sospendere il lavoratore che rifiuta la somministrazione, senza diritto alla retribuzione. Si tratta di una scelta che appare giustificata dalla necessità di garantire la sicurezza nei confronti del resto del personale.
Il titolare dell’azienda potrebbe, poi, incentivare il lavoratore a vaccinarsi, prevedendo una serie di benefici (come ad esempio la previsione di premi).
Il dibattito relativo a come debbano essere trattati i dipendenti che rifiutino la vaccinazione anti covid è avvertito anche nel resto dei Pesi del Mondo: diverse, però, le soluzioni che possono essere adottate.
In alcuni Stati (Belgio, Irlanda, Polonia, Argentina, Messico), è del tutto esclusa la possibilità di licenziare il dipendente che si rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione.
In Brasile e in Austria, invece, il licenziamento è un’ipotesi contemplata.
Per altri paesi, invece, tra cui l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Russia e gli Stati Uniti, il licenziamento è prevista quale misura da adottare in extrema ratio, qualora, cioè, non sia possibile adottare misure diverse capaci di tutelare allo stesso tempo il lavoratore che si rifiuta e la sicurezza degli altri lavoratori. Nello specifico, il datore di lavoro potrebbe adottare delle misure conservative quali, ad esempio, il mutamento di mansioni o lo smart working. Si tratta di misure che appaiono capaci di tutelare da un lato sia il lavoratore che sceglie di non vaccinarsi, sia la sicurezza degli altri dipendenti. Qualora, però, tali misure non appaiano possibili ovvero non risultino più essere in linea con le esigenze dell’azienda, il dipendente potrebbe essere considerato “temporaneamente inidoneo” a svolgere la mansione in sicurezza, non essendosi vaccinato. Pertanto, essendo ritenuto temporaneamente inidoneo, potrebbe finanche subire una sospensione dello stipendio.
Se, poi, la sua assenza dal lavoro potrebbe pregiudicare l’organizzazione aziendale (in quanto trattasi di assenza indeterminata nella sua durata, ad esempio), allora potrebbe essere ipotizzata anche l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In definitiva, dunque, in Italia non sembra prospettabile come prima ipotesi la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il dipendente che non si sottopone al vaccino. Ciò nonostante, qualora tale scelta si traduca ed integri la causa del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, allora appare possibile il licenziamento.
Vi è, infine, un ultimo punto rilevante da considerare, relativo alla protezione dei dati del lavoratore: può l’azienda chiedere direttamente ai dipendenti di confermare l’avvenuta vaccinazione e pretendere l’esibizione dell’apposito certificato?
La questione è stata affrontata anche dal Garante della Privacy, il quale ha precisato che il datore di lavoro non può chiedere direttamente ai dipendenti informazioni o documenti relativi all’avvenuta vaccinazione. Solamente il medico del lavoro, in sede di giudizio circa l’idoneità del dipendente alla mansione, potrà accertare se c’è stata o meno la vaccinazione.
In una prospettiva comparata ed internazionale, è bene segnalare come in altri Paesi le soluzioni adottate siano differenti. In particolare, in Paesi come il Brasile, la Germania e la Polonia, i dati relativi alla vaccinazione del dipendente possono essere utilizzati direttamente dal datore di lavoro. In altri Paesi, invece, come la Repubblica Ceca, la Russia e il Messico, tali dati possono essere trattati dal datore di lavoro solo in presenza di specifiche condizioni, come ad esempio il previo consenso del lavoratore.
Una piattaforma dove ognuno di noi ha il potere di comunicare con chiunque nel mondo e in qualsiasi forma: foto, video, articoli, incontrare vecchie amicizie o crearne di nuove, scambiare opinioni, vendere prodotti, assumere persone. Un enorme reticolo di funzioni che fungono da stampino della nostra personalità: i social media sono tutto questo e sono oggi la più grande conquista che internet abbia potuto offrirci. Vi spiego i perché, come utilizzarli e gli esempi di Tik Tok e Cam.Tv.
I PERCHÉ DELLA RIVOLUZIONE
Parlare di social oggi come rivoluzione ha davvero poco senso ma necessita sempre un resoconto, un “tracciare la linea” diciamo, per vedere cosa sono i social e perché ancora oggi sono rivoluzionanti. Partiamo dal primo punto: i social sono e siamo noi.
Sono partiti con la creazione di un profilo, con tanto di foto e descrizione di chi siamo, i nostri interessi e passioni, opinioni per poi collegarci con chi condivideva tutto questo e creare nuove relazioni forti, seppur online.
Quindi questo è il primo pilastro dei Perché, i social simulano la nostra realtà: il nostro aspetto, personalità e ci mettono in campo virtuale per trovare i nostri simili, creando così comunità o società, collegandoci pur essendo in capi opposti della nazione o del mondo. Tutto questo in 5 minuti, connessione lenta permettendo.
Si atterra quindi al secondo Perché, ossia i social rappresentano noi, il nostro pensiero.
Al nostro profilo social diamo anche una voce, un pensiero appunto, e lo mettiamo a confronto con quello di qualcun altro. Semplificando di molto, le cose possono andare in due modi: o si è d’accordo o si è in disaccordo. È anche questo lo straordinario potere, il confronto non poteva essere così semplice, veloce, ubiquo, e non lo è mai stato. Si creano dunque dibattiti, ma anche partiti dello stesso pensiero, movimenti che possono anche influenzare l’opinione reale di ciascuno di noi. Ci addentriamo tra poco sul contro altare, non da meno, delle opinioni.
Rimane intanto il fatto che i social ci hanno plasmato, o viceversa, ma comunque rappresentano noi stessi come persone e comunità online e quindi la nostra società virtuale in cui la democrazia assume un ruolo praticamente sganciato dalle dinamiche concrete della realtà.
Collegandoci proprio a quest’ultima frase, arriviamo proprio a quello che credo sia il motivo più importante per cui i social hanno rivoluzionato il nostro modo di comunicare, presentare e aumentare l’immagine di noi stessi: i social hanno livellato le gerarchie sociali.
Ognuno ha la possibilità di avere un canale, ognuno può esprimere la propria opinione, ognuno può essere d’accordo e creare una pagina dove tutti la pensiamo allo stesso modo, soprattutto ognuno ha lo stesso valore di ogni altro membro della piattaforma social.
Stiamo spiegando quindi l’avvento degli influencer in poche parole: sono le persone che più di altri e senza particolari sotterfugi utilizzano al meglio questi canali riuscendo a dare più valore alle proprie passioni o opinioni, diventando importanti nella società online, acquisendo carisma e credibilità in quello che dicono.
Facciamo un esempio recente, ai tempi del Covid, confrontando un influencer con 1 milione di follower e un medico con 500 follower. Quest’ultimo pur avendo un parere più consone e autorevole sulla questione sanitaria sarà sempre meno “ascoltato” rispetto alla prima controparte che vanta di un pubblico nettamente più vasto e sempre in crescita. Questo gioco provocatorio non solo vuole evidenziare la parità dei social che mettono istituzioni e società allo stesso livello, ma anche le opinioni stesse, anzi spesso le opinioni più ascoltate sono prese per veritiere. Ci stiamo addentrando quindi verso il quarto Perché della rivoluzione dei social, ossia la comunicazione dell’informazione.
Quest’ultimo Perché che ci porterà a come utilizzare questi potenti mezzi è quello che più li mette a rischio, sia dal punto di vista della buona rivoluzione sia al contrario dal punto di vista delle persone che (anche giustamente) li demonizzano. Quante volte infatti sentiamo parlare di Fake News, notizie false, in cui vengono portati dati fallaci a discapito dell’opinione altrui e per darsi da soli una ragione. Per molti possono essere facilmente smascherabili ma la capillarità della rete non ci dà minimamente idea di quanto un’informazione, che sia vero o peggio falsa, sia velocemente trasmissibile, virale. L’informazione non è mai stata così tanto a rischio e a repentaglio: sono più le persone che si informano sui social che sui giornali, sono più le persone che guardano video di reporter amatoriali che di autorevoli testate in televisione. Per chi ha una formazione o una consapevolezza ripeto, tutto questo è “smascherabile”, chi invece utilizza tutto questo senza un buon senso o quantomeno un sistema immunitario digitale in grado di riconoscere una notizia falsa da quella vera sarà presto vittima del qualunquismo o peggio ancora del complottismo.
Arriviamo quindi alla seconda parte dell’articolo.
COME UTILIZZARE AL MEGLIO I SOCIAL
Dopo esserci riportati al presente con la domanda perché ancora oggi i social rivoluzionano la nostra vita quotidiana, i nostri pensieri e la nostra società, è arrivato dunque il momento di chiederci come utilizzare al meglio questo potente canale, sia per divertimento sia per monetizzare la nostra attività.
In qualsiasi caso voi vogliate iniziare ad utilizzare i social c’è sempre un fattore da considerare che vi orienterà al meglio: a chi parliamo. LinkedIn parla ai professionisti, Instagram e Facebook a persone con passioni, blogger, atleti (un po’ di tutto diciamo), si differenziano solo per l’età: Facebook parla con un target che si aggira sui 25 anni in su, Instagram parla con un target che si aggira dai 20 anni in poi. Arrivando poi agli ultimi arrivati ma non meno importanti: Tik Tok e Cam.Tv, il cui target è giovanissimo nel primo e nel secondo si rivolge a professionisti e forti appassionati. Ma questi ultimi due li vedremo meglio nella parte finale dell’articolo.
Una volta individuato il nostro social ideale, è utilissimo capire quindi che cosa vogliamo dare al nostro pubblico che ci segue e no, stabilendo quindi il nostro messaggio (il prodotto/servizio dell’azienda o di noi stessi) con un determinato tono di voce: professionale, divertente, ironico, non importa quale, basti che rappresenti voi stessi.
Ma i social non sono solo azione ma anche ricezione. Anche questo se vogliamo è una rivoluzione, perché è abbastanza semplice: se prima con i media tradizionali il messaggio era unidirezionale, con i nuovi media adesso è molto più democratica la trasmissione, in cui ognuno di noi può essere l’emittente e il pubblico allo stesso tempo.
Bisogna quindi anche capire come utilizzare i social quando interagiamo con i contenuti di altre persone. Qui è necessaria la massima attenzione: la consapevolezza di sapere che siamo in un social network, in cui chiunque ha voce in capitolo e libero di dire praticamente ciò che vuole, in dovere di dire come la pensa su qualsiasi cosa accada nel mondo “reale”. Consecutivamente è fondamentale essere in grado di capire come reagire davanti queste: commentare, mettere il famoso “like”, condividendo, questionare e perché no, litigare. Queste però sono azioni quasi naturali per chiunque, meno invece è l’avere con noi una lente in grado di riconoscere quando dar peso a qualcosa, soprattutto quando tratta di temi delicati quali la sanità pubblica ad esempio. Informatevi, sempre e non solo sui social perché il sistema rappresenta solo e soltanto noi stessi (vedere prima parte dell’articolo) e di conseguenza farà vedere solo ciò che a noi interessa. Siate consapevoli di questo dato di fatto.
Come in una normale società, come la intendiamo dal vivo in cui esiste il confronto, esiste anche lo svago o il divertimento. Questo nei social si traduce con “challenge”: una sfida orientata al maggior coinvolgimento possibile di tutti i partecipanti, in cui ci si sfida e si viene invitati a fare lo stesso. Questo per tenere vivo il gruppo, per aumentare il senso di appartenenza. Anche qui, come per il fattore del confronto, c’è un lato negativo: non ci sono limitazioni a queste sfide, come non ci sono particolari limitazioni nel modo di confrontarsi tra persone. Quindi anche in questo caso, saper utilizzare i social non vuol dire solo saper parteciparvi ma anche avere la consapevolezza o il buon senso dei limiti, altrimenti il rischio di poter incappare in incidenti è decisamente alto.
Cam.Tv e Tik Tok: i social per monetizzare e velocizzare i contenuti.
Qui vedremo i nostri esempi più lampanti di quello che è stato detto finora: l’innovazione, i social che hanno plasmato noi stessi, il modo di vivere all’interno di una società online e soprattutto come utilizzarli al meglio.
TIK TOK
Sicuramente uno dei social più in voga degli ultimi anni e che ha scatenato il suo successo soprattutto nella cerchia dei giovanissimi della comunità. Il punto centrale su cui verte il messaggio di Tik Tok e che lo caratterizza rispetto ai suoi colleghi come Facebook e Instagram è “sfruttate al meglio il tempo a disposizione” che in poche parole significa velocità e creatività.
Se infatti andiamo a esplorare cosa viene prodotto all’interno della piattaforma vedremo contenuti velocissimi da consumare (durata massima dai 15 ai 60 secondi) e soprattutto creativi al massimo per saper catturare subito l’attenzione del consumatore. Quindi possiamo vedere il perché ha ottenuto così tanto successo: si è allontanato parecchio da quella che prima consideravamo a inizio articolo una rivoluzione, la condivisione di noi stessi attraverso pensieri, opinioni, esperienze arrivando a condividere invece la bravura nel saper utilizzare con una comunità online il tempo a nostra disposizione e nella maniera più veloce possibile, perché ormai l’attenzione sul nostro schermo è sempre più fragile, effimera.
Conviene anche soffermarsi su l’altra caratteristica di Tik Tok, la velocità di condivisione dei contenuti che spesso si traduce con giochi, viralità, intrattenimento, in una parola “challenge” ovvero la sfida e il piacere di sfidare gli altri. Il succo dei social, ed è per questo che Tik Tok ne entra benissimo a far parte è il gusto del confronto con il prossimo con l’obiettivo di aver ragione nel caso delle opinioni, oppure nel caso delle challenge nel gusto di vincere.
Ma come detto precedentemente, saper utilizzare il social è alla base del corretto utilizzo e di chi utilizza questo mezzo. Non è strano infatti sentire di incidenti dovute a certe sfide estreme che portano chiunque a fare mosse azzardate, per dirlo eufemisticamente, pur di vincere, fino ad arrivare al punto di morire. Ecco l’unica pecca che paradossalmente è anche la cosa più bella dei social: la democrazia nell’utilizzare questo mezzo, lo rende anche pericoloso per tutti SE non educati adeguatamente a utilizzarli o almeno limitati da filtri delicati come l’età (gli incidenti dovute alle challenge sono infatti frequenti con i bambini o adolescenti).
Tik Tok merita sicuramente il successo ottenuto, anzi non è nemmeno utile dire che sia una novità ma è l’esempio più evidente di come il successo di un’applicazione social è altrettanto una minaccia importante per la salvaguardia di categorie non protette efficacemente dall’applicazione stessa.
CAM.TV
Passiamo ad una controparte che merita la stessa identica attenzione mediatica del social precedentemente citato, magari non per tipo di successo tra i giovanissimi ma per novità dell’applicazione di un social verso la comunità. Il punto, infatti, di ogni social è quello di essere utile o almeno che offra novità rispetto alla concorrenza perché altrimenti non da ragione di esistere o di essere utilizzata. Questo vale per il tema che trattiamo adesso ma vale in realtà per ogni cosa esistente nel business.
Quindi, Cam.Tv. Il motivo per cui questo social merita la giusta attenzione da parte nostra è l’estrema novità di poter dare alla comunità online la possibilità di poter lavorare anche da casa, cosa che in questo periodo di lockdown dovuto alla pandemia del Covid-19 è ben poco scontata, anzi è una tragedia per moltissime attività, costrette a chiudere proprio perché il contatto con il cliente era tutto. La consulenza, ad esempio, ha visto la crisi perché l’incontro con il cliente in loco era il momento in cui si poteva la spiegazione del business e la trattativa.
Con Cam.Tv si è aperta una porta che forse poteva essere quasi scontata, è sempre così con le idee giuste. Viene unito il concetto di comunità online, viva, in grado di scambiare conoscenze e opinioni, assieme al concetto “nuovo” di call, meeting, chiamatelo come volete, l’importante è che sia online. Vista la distanza sociale imposta lo strumento diventa indispensabile.
Immaginatevi quindi di tradurre letteralmente la vostra attività digitalmente, i vantaggi che trarrete sono a dir poco così tanti da non sapere di elencarli davvero tutti: velocità, network, ampliamento della propria rete di vendita, creazione di nuovi interessi proficui grazie alle funzionalità di Internet. E potrei andare avanti.
Arriviamo all’altra e non meno importante novità di Cam.Tv che necessita rispondere all’essenziale domanda che ogni professionista con un’attività si starà chiedendo: come vengono retribuite le mie attività in questa piattaforma? Semplice, con la criptovaluta del sistema all’interno di Cam.Tv, chiamata LKScoin. Detta in maniera potabile, grazie a questa moneta virtuale sarete in grado di poter fornire consulenze a pagamento alla vostra rete di vendita attuale e ai vostri nuovi clienti trovati proprio grazie all’applicazione Cam.Tv. Inoltre, potrete comunicare i vostri video, pensieri, consigli per guidare il vostro cliente e per ricompensarvi o meglio sostenere la vostra attività, vi donerà in forma di “likes” i vostri LKScoin.
Quindi arriviamo alla terza novità, che come potrete notare ognuna è direttamente collegata. L’ultima novità risiede nel sapersi elevare all’interno del contesto online e renderlo il più giustificabile, o professionale, possibile. I contenuti non sono più leggeri ma diventano veri e propri strumenti di guadagno, o meglio, di valore! Saper comunicare non vuol dire più parlare e basta ma significa saper investire (tempo o denaro, ma spesso entrambi) in quello in cui si crede: video, seminari, articoli e chi più ne ha più ne metta.
Questo è l’insegnamento importante che invece di offre Cam.Tv: online tu hai il potenziale per trasformare la tua attività in qualcosa di ancora più speciale, più grande e di valore, come un’evoluzione, o meglio ancora, una rivoluzione.
Nel diritto dei contratti ha fatto ingresso un nuovo tipo di contratto, destinato ad avere grande utilizzo negli anni a venire, soprattutto nel settore energetico e bancario: si tratta dello smart contract.
Per comprendere le potenzialità applicative che offre questo strumento, ma anche, allo stesso tempo, le criticità che esso pone, occorre anzitutto capirne il funzionamento.
La definizione di smart contract viene offerta dal legislatore nella L. 11 febbraio 2019 n. 12 (recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto – legge 14 febbraio 2018 n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione delle imprese e per la pubblica amministrazione”), ove, all’art. 8-ter, disciplina lo smart contract come un “programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse”.
Prima di soffermarsi sul funzionamento e sulla disciplina dello smart contract, occorre anzitutto chiedersi in quale categoria di contratti possa essere inquadrato. La risposta a tale quesito appare agevole: lo smart contract deve essere inquadrato nella categoria dei contratti digitali. Ciò posto, occorre capire quali sono le differenze rispetto agli altri contratti digitali, vale a dire i contratti telematici e i contratti cibernetici. Nei contratti telematici, lo strumento telematico rappresenta solo il veicolo di trasmissione della volontà dei contraenti. Nei contratti cibernetici, invece, lo strumento telematico non è solo veicolo della volontà, ma è anche strumento che determina la volontà dei contraenti.
Negli smart contracts, invece, la volontà si manifesta attraverso un algoritmo che si autoesegue. Si tratta, pertanto, di software che, una volta programmati, sono autoeseguibili su piattaforme blockchain (a tal proposito, si ricordi come la piattaforma blockchain sia un registro digitale in cui i dati sono registrati a blocchi. Si tratta di un sistema caratterizzato dalla immodificabilità e immutabilità).
Così inquadrato lo smart contract, occorre soffermarsi sul procedimento di formazione, che può essere scomposto in tre fasi.
Le parti che vogliono concludere uno smart contract devono anzitutto “trasformare” la loro volontà in un linguaggio informatico. Tale fase iniziale di programmazione del linguaggio informatico, detta coding, diventa fondamentale: una volta, infatti, che il contratto è stato concluso, esso è immodificabile (come meglio verrà spiegato infra) e nessun errore di formazione della volontà potrebbe rilevare, nemmeno se questo errore ha riguardato il processo di traduzione del linguaggio.
Tradotta, dunque, la volontà contrattuale in linguaggio informatico, si passa alla fase successiva della pubblicazione. In questa fase, le parti procedono a convalidare il contratto mediante un sistema crittografico a doppia chiave asimmetrica. Una volta convalidato, lo smart contract viene pubblicato nel sistema blockchain e da quel momento diventa immodificabile.
L’ultima fase, infine, concerne l’esecuzione del contratto ed è caratterizzata da una esecuzione automatica del contratto. Eseguendosi in maniera automatica, i rischi di inadempimento del contratto vengono sostanzialmente azzerati. Proprio per questo, però, si apprezza ancora di più la fase della programmazione e traduzione in linguaggio informatico delle volontà contrattuali: una volta che lo smart contract è stato concluso e pubblicato sulla piattaforma blockchain (divenuto cioè immodificabile), esso si autoesegue.
Due, dunque, appaiono essere le caratteristiche fondamentali dello smart contract: l’immodificabilità e l’autoeseguibilità.
Così descritto il procedimento da seguire per arrivare alla conclusione di uno smart contract, occorre ora soffermarsi sulle potenzialità di questo strumento.
Innanzitutto, come già anticipato, diretta conseguenza dell’autoeseguibilità dello smart contract è la circostanza che questo non possa rimanere inadempiuto. Una prima grande potenzialità dello smart contract, dunque, riposa proprio nel neutralizzare il rischio dell’inadempimento. Verificatesi le condizioni descritte nello smart contract, infatti, esso si esegue in automatico.
Ma non solo. Una volta che lo smart contract viene pubblicato sul sistema blockchain, tutte le vicende contrattuali diventano conoscibili ai partecipanti della rete. Tale caratteristica appare estremamente importante in quanto è in grado di evitare che si verifichino conflitti tra più aventi causa del medesimo bene.
In definitiva, si può dunque dire che gli smart contracts garantiscano massima sicurezza nella circolazione di beni e diritti.
Così enucleate le principali potenzialità dello strumento contrattuale di nuovo conio, occorre però anche soffermarsi sulle sue criticità. Le criticità, come si vedrà, sono principalmente legate all’immodificabilità del contratto. Se, dunque, da un lato l’immodificabilità può soddisfare esigenze di certezza nella circolazione dei beni, dall’altro può porre dei problemi in termini di gestione delle sopravvenienze contrattuali.
Una volta, infatti, che il contratto viene concluso e pubblicato, esso è immodificabile, e a nulla possono rilevare eventuali circostanze che erano imprevedibili alle parti nel momento di conclusione dello stesso. In altri termini, se durante l’esecuzione del contratto intervengono fattori del tutto eccezionali e imprevedibili che rendono eccessivamente gravoso il contratto, le parti non possono avvalersi del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.
Ciò, però, non toglie che le parti possano gestire le sopravvenienze prevedibili nella fase fisiologica della conclusione del contratto. In questa fase, le parti possono gestire eventi futuri e incontrollabili attraverso l’istituto della condizione.
Lo smart contract, infatti, funzione secondo il ragionamento if/when: al verificarsi di un determinato evento, ne succede un altro. Le parti, dunque, potranno gestire le eventuali sopravvenienze attraverso questo meccanismo: al verificarsi di un dato evento futuro e incerto, il contratto produrrà i suoi effetti (condizione sospensiva), oppure cesserà di produrre i suoi effetti (condizione risolutiva).
Lo smart contract, dunque, è un contratto necessariamente condizionato, in quanto la condizione è l’unico strumento che le parti hanno a disposizione per gestire le sopravvenienze contrattuali (ovviamente si sta sempre parlando di sopravvenienze prevedibili al momento della conclusione del contratto). Se è così, allora per gli smart contracts la condizione abbandona il ruolo di elemento accidentale (come normalmente accade nei contratti) per assumere quello di elemento essenziale.
In definitiva, la principale criticità dello smart contract è l’impossibilità di gestire le sopravvenienze contrattuali che non possano essere controllate dalle parti in sede di conclusione del contratto con lo strumento della condizione.
Altra problematica connessa all’immodificabilità del contratto, poi, è legata al tema delle invalidità contrattuali. L’ordinamento, infatti, non tollera l’esistenza di un contratto invalido. Ebbene, se tale contratto è uno smart contract, tale esigenza si scontra con il tipo contrattuale, che, essendo pubblicato su piattaforma blockchain, è immodificabile. Da qui, dunque, l’auspicabilità che vengano individuati dei rimedi per far fronte all’invalidità degli smart contracts e, conseguentemente, decretarne l’inefficacia.
L’impossibilità di modificare uno smart contract porta anche ad interrogarsi in ordine a come questo contratto possa essere integrato dalla legge, a norma dell’art. 1374 c.c. (la norma, infatti, prevede che il contratto obblighi le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi). Le caratteristiche del tipo contrattuale, infatti, rendono difficoltosa una integrazione della stesso ad opera della legge.
Infine, un’ultima criticità appare legata all’aspetto dell’autoeseguibilità dello smart contract.
La circostanza per cui lo smart contract si autoesegue impone un ripensamento anche in ordine al principio per cui, ai sensi dell’art. 1375 c.c., nell’esecuzione del contratto le parti devono comportarsi secondo buona fede. In questi casi, essendo l’esecuzione del contratto assolutamente automatica, nessuna rilevanza può essere accordata al comportamento delle parti. Ciò implica, dunque, un ripensamento del concetto di buona fede nell’esecuzione contrattuale.
In definitiva, gli smart contracts rappresentano l’ultima frontiera del diritto dei contratti. Sebbene tali contratti siano idonei a soddisfare esigenze quali la certezza della circolazione della ricchezza, pongono non pochi problemi circa la necessità di conciliare le sopravvenienze contrattuali e il tema delle invalidità contrattuali con le caratteristiche di non modificabilità degli stessi contratti.
Nuove sfide, dunque, si pongono all’interprete, soprattutto in punto di disciplina e di modalità di concepimento dell’autonomia privata: sfide che andranno necessariamente vinte, considerato l’impatto che gli smart contracts avranno nell’economia contrattuale, soprattutto nel settore energetico e bancario.
La raccolta dei fondi è un sistema per crescere le proprie idee, progetti ma anche salvare realtà in difficoltà. Oggi più che mai l’importanza di sopravvivere con l’aiuto di altre persone grazie al metodo del crowdfunding è un concetto da far passare e da far conoscere a tutti. Soprattutto perché forse uno dei metodi che più rappresentano il concetto importante della comunità.
Ma andiamo con ordine, gettiamo le fondamenta per costruire un tema delicato e essenziale per chi vuole capire come funziona.
DI COSA SI TRATTA?
Una domanda a cui sembra aver già risposto ma che in realtà abbiamo solo introdotto per incuriosire o confermare qualcosa che già sapevamo.
La nascita della terminologia ad esempio. Il termine “crowdfunding” nasce dall’unione di “crowd”, folla in italiano, e “funding”, che significa finanziamento. Se vogliamo quindi italianizzarlo bruscamente vorrebbe quindi significare il “finanziamento della folla”. Non c’è un riferimento preciso di cosa, ma solo da parte di chi finanzia.
Idee, progetti, eventi, prodotti, magari che ancora devono esistere oppure che già sono realtà ma hanno bisogno di allargare i propri orizzonti con numeri più importanti e quindi soldi per poterne produrre in larga scala. Ecco che quindi siamo già arrivati ad un altro tipo di finanziamento, per un altro obiettivo: realtà esistenti ma con pochi fondi per poter continuare ad esistere.
Negli ultimi anni il crowdfunding si è diffuso, anche in Italia, ed è sempre più utilizzato per realizzare progetti che altrimenti non vedrebbero la luce, tra cui le startup. Sappiamo tutti quanto all’inizio sia difficile, per i fondatori di una startup, convincere investitori e fondi di investimento a finanziare un progetto imprenditoriale che non offre molte garanzie di un ritorno economico.
Ed è proprio qui che entra in gioco il crowdfunding: sempre più startup si affidano a questa forma alternativa di finanziamento per raccogliere i fondi necessari per partire con la propria attività.
Immaginate quindi già da queste prime righe quanto OGGI sia fondamentale avere uno strumento a disposizione come quello del crowdfunding, per sostenere e salvare sempre più aziende, organizzazioni durante il periodo nefasto che vede il protagonista con il nome di Covid 19.
Procediamo quindi con il secondo step per addentrarci completamente in questo tema, ossia come funziona.
COME FUNZIONA IL CROWDFUNDING
Ti sei mai chiesto come funzionasse il crowdfunding? Sulla carta è molto semplice.
Il funzionamento di base è questo: una persona, un’organizzazione o un’azienda ha bisogno di un supporto economico per realizzare un determinato progetto.
Solitamente Internet viene in soccorso per facilitare il contatto tra persona interessate e investitori. Ci si rivolge a diverse piattaforme dove si pubblica il progetto e viene stabilito un obiettivo di raccolta, identificato magari tramite una “startup-valuation”, una vera e propria valutazione della realtà proposta all’investitore, in questo modo viene presentata l’idea e l’obiettivo con la raccolta fondi.
COSA SUCCEDE SE L’OBIETTIVO VIENE RAGGIUNTO?
Se l’obiettivo viene raggiunto o ampiamente superato, il richiedente riceve i soldi, i finanziatori riceveranno una “ricompensa” (dipende dalla tipologia di crowdfunding, ad esempio solitamente gli investitori vengono menzionati nei prodotti creati o supportati, si possono ricevere dei prodotti e via dicendo) e la piattaforma ospitante della raccolta fondi percepirà una commissione.
Se invece malauguratamente l’obiettivo non viene raggiunto con la somma prestabilita entro il termine prefissato, di solito il denaro rimane sui conti correnti degli investitori e il progetto non viene finanziato. Altrimenti, ci sono piattaforme come Indiegogo dove il denaro viene subito prelevato dai conti correnti degli investitori e il progetto viene finanziato anche se l’obiettivo non viene raggiunto nel periodo di tempo stabilito.
CHE TIPOLOGIE DI CROWDFUNDING ESISTONO?
Esistono fondamentalmente 4 tipologie che è necessario sapere per avere quantomeno idea degli scenari in cui una raccolta fondi possa essere definita tale, MA è anche vero che ogni giorno, specialmente in periodo Covid, nascono nuove idee o necessità che non per forza rientrano nelle tipologie che andremo ad analizzare accuratamente. Partiamo!
Reward Crowdfunding
È la forma di crowdfunding probabilmente più diffusa, inizialmente molto utilizzata per finanziare progetti culturali e artistici (film, CD musicali, libri, fumetti, ecc.): in questa tipologia i finanziatori ricevono una ricompensa non monetaria.
Oggi è molto usata nel mondo delle startup, non solo per finanziare, ma anche – e soprattutto – per testare un prodotto. Difatti, se raggiungo l’obiettivo di raccolta, non solo ottengo i fondi necessari per realizzare il mio prodotto, raggiungendo il break even point, ma ottengo anche una sua validazione: in altre parole ho la prova che il mercato vuole il mio prodotto.
Equity Crowdfunding
L’equity crowdfunding è forse la forma più diffusa di crowdfunding, soprattutto nel mondo delle startup. In sostanza i finanziatori del progetto ricevono una piccola quota di partecipazione (equity), diventando dei soci di minoranza, solitamente senza diritto di voto in assemblea, ma con diritto alla distribuzione degli utili.
Se l’obiettivo della campagna viene raggiunto e, in seguito, la startup evolve in un’azienda vera e propria che produce utili, i finanziatori avranno diritto a ricevere una parte di quegli utili sotto forma di dividendi, proprio come gli azionisti delle public company.
Lending Crowdfunding
Noto anche come social lending o P2P (Peer to peer) lending, questa è una forma di crowdfunding attraverso la quale un privato presta una somma di denaro ad un altro privato, attraverso una piattaforma intermediaria, ricevendone in seguito la restituzione comprensiva di interessi.
Ancora poco diffusa in Italia, questa tipologia al momento non è molto usata dalle startup, data la modesta entità delle somme raccolte attraverso le piattaforme
Donation Crowdfunding
Arriviamo dunque all’ultima tipologia, non meno importante anzi forse la più incisiva perché non garantisce un ritorno di alcun tipo ma un risultato di un grande impatto: la sopravvivenza di una realtà in forte difficoltà.
Adottata soprattutto delle organizzazioni no profit per finanziare progetti sociali senza scopo di lucro, questa tipologia è a tutti gli effetti una donazione e, come tale, non prevede alcuna ricompensa, restituzione o partecipazione agli utili per i finanziatori.
PIATTAFORME DI CROWDFUNDING IN ITALIA: LE PRINCIPALI
Tra le quattro tipologie di crowdfunding che abbiamo appena visto, le più adatte per raccogliere fondi per una startup sono le prime due, reward ed equity.
Ma quali sono le principali piattaforme su cui poter contare per poter raccogliere fondi e realizzare i nostri progetti? In Italia come già accennato all’inizio sono diverse le realtà che rappresentano le tipologie raccontate poco prima. Eccovele riassunte:
Mamacrowd
Fondata nel 2016 dal gruppo SiamoSoci e autorizzata da Consob, Mamacrowd è la piattaforma di equity crowdfunding n°1 in Italia, con 17.5 milioni di euro raccolti e 51 campagne di successo, tra cui quella di Startup Italia, che ha raggiunto quasi 3 milioni di euro con un overfunding del 570%.
Contando su un network di partner esperti nel campo, la piattaforma opera una rigida selezione delle startup e delle PMI innovative, al fine di aumentare la probabilità di successo dei progetti proposti.
Crowdfundme
Altra piattaforma italiana di equity crowdfunding, CrowdFundMe è quotato in Borsa Italiana e dal 2013 ha raccolto 14,56 milioni di euro, con ben 49 progetti di successo all’attivo.
Come Mamacrowd, la piattaforma propone progetti imprenditoriali di startup e PMI innovative, basandone la valutazione economica sia sugli asset (materiali e immateriali) posseduta dalla società, sia sulla validità e il potenziale del modello di business.
200Crowd
Piattaforma equity based, 200Crowd appartiene a Two Hundred, una società fintech italiana gestore di portali per la raccolta di capitali.
A differenza di altre piattaforme di equity crowdfunding, 200Crowd prevede un investimento minimo fisso di 500 €, anziché consentire a chi lancia la campagna di stabilire il proprio.
Wearestarting
Nata nel 2015, WeAreStarting è una piattaforma di equity crowdfunding per startup e PMI italiane: in questi anni ha raccolto 1,315 milioni di euro, di cui 1 milione solo nel 2018.
Al momento le campagne pubblicate sulla piattaforma presentano obiettivi di raccolta tra vanno da 35.000 a 120.000 euro, quindi cifre indubbiamente inferiori rispetto ad altre piattaforme, quali Mamacrowd.
Opstart
Piattaforma di equity crowdfunding, Opstart dal 2016 ha raccolto oltre 15 milioni di euro, di cui quasi 5 solo nel 2019, finanziando ben 81 progetti.
La piattaforma consente di finanziare PMI e startup innovative ad alto potenziale, rigorosamente selezionate sulla base della loro capacità di generare redditività e remunerare così il capitale investito.
Eppela
Nata nel 2011, Eppela è una piattaforma di crowdfunding italiana che applica il modello reward based. In questi anni ha raccolto oltre 28 milioni di euro.
La piattaforma consente di impostare campagne di raccolta fondi con una durata minima di 15 giorni e una durata massima di 40. In caso di raggiungimento dell’obiettivo prefissata, Eppela trattiene una commissione del 5% sulla somma raccolta.
Kickstarter
Lanciata a New York nel 2009, Kickstarter è una piattaforma internazionale di reward crowdfunding ed è tra le più conosciute e utilizzate al mondo.
Nell’arco di 10 anni sono stati raccolti 529 milioni di dollari per finanziare ben 439.891 progetti, riguardanti per lo più film indipendenti, videogiochi, musica, spettacoli teatrali, fumetti, giornalismo e imprese legate all’alimentazione.
Indiegogo
Nata a San Francisco nel 2008, Indiegogo è un’altra piattaforma reward-based conosciuta e usata a livello internazionale. A differenza di Kickstarter, però, anche se la somma target non è raggiunta entro il periodo di tempo prefissato, il finanziamento va al progetto.
In questi anni la piattaforma ha raccolto ben 1.3 miliardi di dollari e sono state lanciate oltre 800.000 campagne per finanziare progetti creativi imprenditoriali di arte, film, tecnologia, bricolage, ecc.
ARRIVIAMO AL PUNTO: QUANTO È IMPORTANTE AL GIORNO D’OGGI TUTTO QUESTO?
Sembra una domanda abbastanza scontata, quasi retorica ma che ritengo vero fulcro dell’articolo stesso perché invece nella realtà pochi conoscono la risposta, o meglio conoscono questa soluzione. Il crowdfunding è la prova dell’importanza di saper essere (e fare) una comunità in momenti difficili, specialmente nella tipologia della donazione senza ricevere benefit di alcun genere. Al giorno d’oggi, in cui in ogni momento chiudono tantissimi negozi, aziende, parchi, la raccolta fondi diventa cruciale per la sopravvivenza e salvaguardia di posti di lavoro. Ma ancora la comunicazione in quest’ambito sembrerebbe essere povera perché in pochi sfruttano questi mezzi, pur essendo di facile accesso e utilizzo. Diventa quindi cruciale la redazione e la condivisione di articoli in cui se ne parla, in breve si fa informazione: un’arma in più per sopravvivere in un periodo in cui non sappiamo ancora bene a chi doverci affidare.
Nell’ultimo numero abbiamo parlato dell’e-learning quale attuale ed efficace modalità di apprendimento, soffermandoci in modo esaustivo sui tanti motivi per cui preferirlo a quella tradizionale, non solo in questo infelice periodo storico in cui la scelta è praticamente d’obbligo.
Sinteticamente, abbiamo sottolineato come da un lato, i classici percorsi non sempre sono all’altezza di darci i contenuti e le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro di oggi, sempre più esigente, dall’altro lato, una volta entrati, la sua continua evoluzione ci richiede un continuo aggiornamento delle nostre competenze. Se siamo dipendenti, le aziende investono sulla nostra formazione per rendere esse stesse più competitive, se liberi professionisti, siamo noi ad investire su noi stessi per rendere noi più competitivi e vincenti!
Oltre al profilo contenutistico ed i risultati, i pro investono anche l’aspetto formale del modo, potendo riprendere materiali e contenuti in base alle nostre esigenze orarie, essendo le lezioni predisposte in modo da poterle visualizzare in ogni momento, se manca la possibilità di vederle in tempo reale o se c’è la necessità di rivedere qualche passaggio.
In sintesi i vantaggi sono:
facile condivisione di contenuti con persone situate a grandi distanze;
possibilità di apprendere secondo i propri ritmi di comprensione;
possibilità di riconsultare i materiali online;
possibilità di personalizzare la struttura dei contenuti e di calendarizzarne gli impegni;
minori costi rispetto alla partecipazione a formazioni tradizionali (nessun allontanamento del dipendente da istruire dal posto di lavoro) quindi forte crescita della produttività individuale;
possibilità di monitorare il proprio apprendimento grazie a software che rilevano i risultati e gestiscono la didattica;
facilità e tempestività di aggiornamento dei contenuti.
Se volete approfondire l’argomento, vi rimandiamo alla lettura dell’articolo “L’ e-learning: la didattica del presente e del futuro”, presente nella scorsa uscita perché qui, riprese queste linee essenziali, vogliamo soffermarci su esempi pratici di corsi e-learning per darvi un’idea non solo teorica ma anche pratica dell’ argomento.
Per fare questo ci serviremo dell’offerta formativa di Energy Academy, che nasce come accademia di formazione specializzata in programmi e percorsi di formazione in ambito attitudinale e comportamentale per arrivare oggi ad offrire una completa gamma di corsi e percorsi di formazione ideati e diretti dal Presidente di Energy Academy, Francesco Briguglio, affiancato da un consolidato team di trainer, consulenti aziendali, imprenditori e manager, con la duplice possibilità di scegliere corsi in aula (personalizzati sulle esigenze delle aziende) e corsi di e-learning.
La piattaforma e-learning offre un ampio ventaglio di formazione accreditata per ingegneri, geometri, architetti, progettisti, agronomi e dottori forestali.
I corsi si suddividono in 5 grandi macro aree:
green economy
sicurezza sul lavoro
design e tecnologia
progettazione
corsi e strumenti per professionisti.
La prima area racchiude corsi di formazione ideati per i professionisti che vogliono acquisire competenze in ambito ambientale per agire in conformità alla legislazione in continua evoluzione (corso certificazione energetica degli edifici, dei condomini, di progettazione degli impianti solari, corso introduttivo alla bioarchitettura, progettazione e realizzazione case ecologiche e quello specifico per i tetti in legno).
L’ area sicurezza sul lavoro prevede corsi di aggiornamento per RSPP e coordinatore sicurezza; viste le continue evoluzioni normative su un tema così socialmente importante e delicato come la sicurezza sul lavoro, la formazione non è solo necessaria ma anche doverosa. I corsi di formazione design e tecnologia ti daranno le competenze per presiedere e gestire i processi organizzativi e produttivi di impresa in collegamento con le innovazioni tecnologiche e all’internazionalizzazione dei mercati (citiamo il corso di fotogrammetria digitale, di design ed interior design, di fotografia).
I corsi di progettazione sono rivolti ai professionisti che intendono specializzarsi nei più variegati ambiti della progettazione (dalla bioedilizia, alla progettazione di impianti solari o domotici, fino agli ambiti più innovativi del Product Design, e della modellazione 3D).
I percorsi formativi proposti in questa sezione sono rivolti ai professionisti che operano nel settore dell’edilizia e consentono di assolvere l’obbligo di formazione professionale continua in quanto riconosciuti e conformi ai regolamenti dei maggiori ordini professionali. L’ultima area racchiude infine tutti quei corsi ideati per offrire aggiornamenti ed approfondimenti di architetti, ingegneri e geometri. L’esempio di Energy Academy (vi rimandiamo al sito www.energy-academy.it), sicuramente eccezionale essendo essa leader nella formazione in aula ed e-learning con la quantità ma soprattutto qualità dei corsi offerti, ci permette di capire nella realtà gli innumerevoli vantaggi, elencati nella prima parte, che questo tipo di formazione ha insiti. È sufficiente entrare nella pagina che riporta l’offerta formativa e cliccare sul corso che fa per noi; facile accedervi, seguire, apprendere e crescere personalmente e lavorativamente.
Il sapere e la formazione sono in continua evoluzione ma dobbiamo essere noi i primi a migliorare noi stessi sfruttando tutte le possibilità che lo sviluppo tecnologico ci offre per contenuti e, se vogliamo, anche per comodità logistica e temporale; la tecnologia è al nostro servizio agevolando la nostra formazione e la nostra crescita professionale e, non meno importante, personale.
“Work on you for you” racchiude proprio questo concetto: il lavoro che facciamo su noi stessi, investendo su noi stessi, è lavoro che facciamo per noi e a nostro vantaggio perché si sa, nuove conoscenze ed abilità non solo ci rendono più competitivi e preparati sul lavoro ma ci danno nuove opportunità, prospettive e visioni anche nella vita personale che non è mai così parallela a quella professionale. E se questo investimento lo possiamo fare con un semplice click, senza essere legati a luoghi od orari beh… è una grande opportunità da sfruttare!!!!
L’arrivo dell’estate porta con sé la voglia di partire, che sia in giro per il mondo o nel proprio paese, la voglia di ricaricarsi dopo i lunghi mesi invernali durante i quali abbiamo fantasticato sulle possibili mete.
Il Covid-19 ha però modificato lo scenario e la domanda che quest’ anno ci facciamo non è sul “dove” ma sul “se” e “come” partire. La pandemia ha infatti portato il 30% degli italiani a decidere di rimandare le proprie vacanze e il restante 70% a modificarle, cercando di adattarsi e adattarle alla nuova normalità post-Covid.
Da un lato quindi la paura di ammalarsi e le difficoltà organizzative ed economiche insorte per il lockdown hanno fatto si che parte degli italiani rinunciassero alle bramate ferie, ma dall’altro, riportando le parole di Albino Russo (direttore generale di Ancc-Coop): “ Gli Italiani vogliono regalarsi un momento di relax dopo i mesi grigi del lockdown e quelli caldi di un autunno che si attendono difficile. Faranno vacanze più brevi, più sobrie ma 100% italiane all’ insegna della sicurezza e (quando possibile) della sostenibilità. Tornano di moda le seconde case e la montagna ma tengono (più del previsto) il mare, gli alberghi, i villaggi turistici…”
In queste parole è riassunto il nuovo modo di vedere e il nuovo approccio alle vacanze: l’estate 2020 sembra così ricordare quella degli anni ’70 in cui 9 italiani su 10 trascorreranno vacanze nel proprio Paese, muovendosi verso seconde case o abitazioni di familiari e di amici vedendo l’affermarsi di nuove tendenze come appunto lo staycation (termine che nasce negli Usa e caratterizza una vacanza fatta in casa, in un luogo non molto lontano dalla propria residenza).
Le case-vacanze sembrano essere quindi l’alloggio ideale soprattutto se fornite di giardino e piscina, soluzione comoda e rilassante e all’insegna della sicurezza sanitaria perché permettono di controllare il distanziamento sociale ed evitare assembramenti.
La pandemia ha riportato altresì al centro dell’attenzione l’impatto dell’ uomo sul pianeta ed il turismo sarà un turismo sostenibile.
Qualche idea?
I parchi nazionali italiani sono un’attrazione interessante per abbinare un soggiorno lontano dai grandi affollamenti ed attività guidate di esplorazione della natura; ricordiamo lo Stelvio, il Gran Paradiso, le Cinque Terre, il parco del Gran Sasso, la Maiella.
Per non parlare dei suggestivi siti archeologici dislocati nel nostro Paese, come i Fori Imperiali di Roma, Pompei, la Valle dei Templi ad Agrigento, il Parco Archeologico di Selinunte (TP) o quello di Volterra.
Volete invece vacanze meno avventurose ma sempre all’insegna del green? Fanno al caso vostro gli agriturismi, di cui c’è l’imbarazzo della scelta (oltre 24.000 strutture lungo tutta la penisola); spesso situati in zone isolate della campagna in strutture familiari e con un numero contenuto di posti a tavola e con ampi spazi all’aperto, piscine e comfort di ogni tipo.
In sintesi, i viaggiatori del 2020 saranno sensibili alla salute e alla sicurezza, attenti al budget; del 70% di italiani che asseconderanno la voglia di vacanza, il 90% rimarrà quindi in Italia.
Un problema o un limite? Assolutamente no visto che il nostro Paese offre una vasta e colorata scelta di destinazioni, per tutti i gusti, dal mare alla montagna, passando per le città d’arte. È l’occasione giusta per visitare le bellezze presenti nel nostro territorio e perché no, favorire l’economia interna che ha subito una forte battuta d’arresto a causa dei mesi di lockdown!
Quest’ anno ricercheremo la sicurezza, la voglia di tranquillità e di sostenibilità ambientale ed economica che si sposa con la (ri)scoperta di un grande patrimonio ambientale e culturale, quello italiano, spesso dimenticato o a cui non diamo la meritata attenzione!!
La parola crisi, per i cinesi, significa opportunità.
Lo capì a suo tempo anche Sergio Marchionne quando, fuori da ogni previsione, con la Fiat acquistò la Chrysler. La difficoltà irreversibile della seconda, fu l’opportunità insperata della prima. Ovviamente, tra i due assiomi, è stata messa in campo una chiara valenza strategica e una sufficiente capacità di assorbimento del mercato. L’operazione, più aziendalistica che economica, è riuscita comunque a confermare che l’automobile rientra tra le preferenze e le abitudini del genere umano. Sia essa intesa come bene di necessità, che come mezzo di svago.
Fermiamoci per un attimo alla prima considerazione: la necessità.
Per una atavica legge di marketing, laddove esiste un grande problema, esiste sempre un grande mercato. Questo principio è però vero fino a un certo punto, perché la sua esaustiva reificazione passa attraverso la consapevolezza del problema.
Ovvero: il problema può esistere, ma non tutti ne sono consapevoli e quindi, per sillogismo derivato, se non tutti ne sono consapevoli, non tutti ne prendono concretamente atto.
Paradossalmente, ma non più di tanto, per il sistema dei consumi, la percezione del problema diventa più importante del problema stesso.
Quando si può raggiungere però velocemente la percezione?
Quando la dimensione del problema passa attraverso la paura.
Mi spiego meglio.
Ogni persona, al possibile piacere, preferisce non provare dolore. Anche questa è una priorità atavica.
Una cartina tornasole lo è il comportamento collettivo in questo periodo di Covid. Quando gli indici di contagio e, soprattutto dei decessi, erano in esponenziale crescita, la condotta comportamentale dei più è stata esemplare, con privazioni e sacrifici accettati e condivisi.
Per un senso di riguardo verso la comunità? Forse. Per paura di ammalarsi e morire? Di sicuro!
E faccio queste deduzioni con il dovuto rispetto verso chi ha pagato con la propria vita il diffondersi del virus.
Con la discesa dell’indice del contagio, grazie agli accorgimenti adottati, è precipitata anche la percezione della paura e, di riflesso, la disponibilità, non solo alle privazioni, ma nemmeno all’elementare accorgimento del distanziamento sociale.
Per settimane e settimane, uno staff di infettivologi ha guidato, rassicurato, allarmato, consigliato, sentenziato. A volte con opinioni diverse su un argomento che, proprio perché materia scientifica, dovrebbe richiedere interpretazioni oggettive. Tutti loro diventati improvvisamente più famosi dei divi per eccellenza. E tutti loro a spingere sull’acceleratore dell’inquietudine collettiva. Dopo un po’, qualcuno ha lanciato un grido d’allarme: attenzione, se non si muore di Covid, si potrà morire di fame. Come per dire che, se ci si salva dal virus, non ci si potrà salvare da una profonda crisi economica.
Nasce spontanea una domanda: fino a dove ci si potrà spingere per trovare un compromesso fra la salvaguardia della salute e quella del portafoglio? Perché entrambe le condizioni fanno comunque perno sulla paura di non farcela.
L’unico filo conduttore che le può armonizzare è la disponibilità al rischio, che non può essere una asfittica roulette russa, dove non c’è alcuna possibilità di condizionamento e influenza personale. Dovrà essere la gestione di un rischio calcolato, dove la cognizione di causa dovrà andare a braccetto con il bisogno di agire. Considerando più che mai il fatto che la nostra libertà finisce laddove inizia il rispetto verso gli altri.
Un rapporto sociale consapevole quindi, non spinto dalla paura, ma dalla necessità.
Un filo talmente labile che può però spezzarsi nel tempo di un respiro.
Questa riflessione mi fa pensare a quando i nostri emigranti in Australia, rientranti in patria, dovevano commiatarsi dai connazionali che, invece, restavano nella terra dei canguri. Il giorno della partenza, i primi si assiepavano sul ponte della nave, mentre chi restava, creava un cordone umano lungo tutto il molo. Ognuno di loro teneva in mano una lunga stella filante, striscia di carta che serviva per un momentaneo e aleatorio congiungimento. La nave iniziava a spostarsi pian piano, fermandosi solo quando le strisce erano ben tese. Attimi struggenti, dove i ricordi del passato si scontravano inesorabilmente con la realtà del presente e l’incertezza del futuro.
Poi la partenza, non tanto evidenziata dalla sirena che squarciava il tormentoso brusio, ma dallo strappo di quei nastri fragili ed effimeri.
Ecco, il momento che stiamo vivendo, per ciò che concerne la pandemia, è simile a quelle strisce in tensione. Sulla nave c’è la necessità di far girare comunque l’economia, sul molo l’opportunità di evitare il contagio.
Cerchiamo quindi di tenere il più possibile le strisce di carta in tensione, per il bene di tutti, scongiurando l’utilizzo di scialuppe e giubbotti di salvataggio.
Anche perché, detto tra noi, ognuno è capitano della propria nave nel mare del futuro.
Siamo nell’era dell’informazione digitale, il mondo del lavoro è in continua evoluzione e per questo serve acquisire nuova consapevolezza e divulgare l’importanza della predisposizione al cambiamento.
Molte persone al giorno d’oggi lavorano per sopravvivere e sono in una situazione di continua emergenza. Quante volte si sentono frasi del tipo: “non arrivo più a fine mese!”, “è il 15 del mese e già ho finito tutti i soldi“, “questo mese non mi hanno ancora pagato“, “speriamo di farcela anche questo mese!“
Praticamente quando finiscono i soldi c’è ancora tanto mese da affrontare.
Frasi tristemente famose…
Esiste allora una soluzione a questa condizione? Un’opportunità per chiunque voglia osare, per tutti quelli che credono nei propri sogni e sono determinati a raggiungerli?
La risposta è sì. Esiste una tipologia di attività che può essere affiancata alla propria occupazione principale e che consente a chi vuole mettersi in gioco, di ottenere importanti risultati a livello professionale.
Oggi parliamo di un’azienda, Energy Italy, Leader a livello nazionale in ambito di produzione di energia rinnovabile e di risparmio energetico, che proprio negli ultimi mesi si è affermata in maniera importante sul mercato nazionale, per quanto riguarda l’opportunità offerta dal Decreto Rilancio, relativamente al Superbonus 110% per la ristrutturazione completa degli edifici (vedi articolo a pagina 6).
La forza di Energy Italy risiede nel suo sistema organizzativo, vantando una rete commerciale di oltre 350 Consulenti e Manager, sempre aperta all’inserimento di nuove e brillanti figure, in tutta Italia.
Si tratta di un sistema meritocratico che garantisce una grande prospettiva di carriera a chi porta risultati tangibili. Tuttavia, allo stesso tempo, quella del consulente Energy Italy è un’attività estremamente flessibile: non ci sono orari da rispettare, ma solo obiettivi personali, professionali ed economici, che consentono l’organizzazione del proprio tempo in base alle proprie esigenze personali, il tutto grazie anche al supporto di una grande scuola di formazione, a disposizione di tutta la rete: Energy Academy.
Cosa intendiamo per “Formazione”? Intendiamo una serie di corsi e percorsi formativi, tenuti da esperti del settore, volti all’acquisizione delle competenze necessarie per svolgere l’attività, alla crescita personale e professionale e, infine, alla crescita del gruppo.
Proprio su questa base si fonda lo scopo di Energy Academy: fornire una formazione tecnica, commerciale, comportamentale e attitudinale a tutti coloro i quali vogliono intraprendere l’attività di consulente Energy Italy.
Possiamo dire che si tratta senz’altro di un’opportunità lavorativa da tenere in considerazione e, perché no, da cogliere al volo, non solo per il suo sistema flessibile e per le opportunità di carriera offerte, ma anche per il settore i cui opera l’azienda, un settore con il fine nobile della salvaguardia dell’ambiente, in continua crescita in un periodo di incertezza economica come questo.